Ciao Umberto Taccola

di Giovanni Petta

 Il Molise non può non ricordare Umberto Taccola perché il Molise, e la provincia di Isernia in particolare, è stata sottoposta per anni alla sua osservazione artistica. E perché a Isernia ha dimorato e disegnato, ha vissuto e dipinto, ha osservato e satireggiato, questo livornese simpatico e arguto.

Quando, nel 2001, fui incaricato di dirigere la rivista satirica “L’Interruttore” lo chiamai subito perché disegnasse la testata del giornale e perché collaborasse con i giovani vignettisti che facevano parte della redazione. Furono anni di lavoro divertente e di una bellissima amicizia.

Ci frequentammo ancora dopo la chiusura del giornale e ci perdemmo un po’ dopo il suo trasferimento in Sardegna, a Posada. L’8 aprile 2012 lo sentii al telefono per l’ultima volta. Era il giorno del suo novantesimo compleanno e quella chiacchierata diventò un’intervista che riprendo un po’, ora, per raccontare la sua vita.

Il Taccola novantenne che mi rispose al telefono aveva lo stesso spirito combattivo di sempre, con qualche nostalgia del Molise e della provincia di Isernia. “Sì, penso spesso agli anni passati lì da voi – mi disse -. È stato un periodo bellissimo accanto alla donna della mia vita, Bruna, che non c’è più da qualche anno”. Il ricordo di Bruna era un ricordo pieno d’amore perché il matrimonio era stata sicuramente una delle cose più importanti della sua vita. “Assolutamente sì – mi disse -. Ci siamo voluti bene e abbiamo condiviso tutto. Ancora oggi, quando sono giù di morale, provo a cercarla con il pensiero, provo a parlarle. È ancora una presenza forte nella mia vita; non potrebbe essere diversamente. Quando sarà il mio momento riposerò accanto a lei”.

isernia la pineta taccolaLivornese di nascita, Taccola aveva vissuto la sua infanzia a Fucecchio, la patria di Indro Montanelli. Ed era ambientato in quel luogo il primo ricordo della sua vita. “Mio padre faceva il rappresentate della Siderurgica Commerciale Italiana –raccontò l’artista toscano – ed era spesso via per lavoro. Io rimanevo solo con mia madre che faceva i modelli dei Cappelli di paglia di Firenze. Aveva quattro o cinque ragazze giovani che l’aiutavano, in un androne ombroso di una casa che affacciava sulla via in salita che portava alla piazza di Fucecchio. È lì che mi vedo, nel mio primo ricordo, a due anni e mezzo, sul seggiolone, mentre ascolto la voce sottile e intonatissima di mia madre che canta Puccini e lavora insieme alle sue aiutanti”.

Siamo nel 1924-’25, poco dopo la Marcia su Roma che – commentò ironicamente Taccola al telefono – “non sono riuscito ad impedire per ragioni di età”. Taccola era un neonato all’epoca, ma era già capace di lasciarsi imprimere da tutti i particolari di quell’immagine lontana in cui la mamma è al lavoro e lui è accanto a lei. “Sì, ho davvero dentro di me in maniera nitida ogni piccolo elemento di quel momento, di quel gruppo di donne che lavorano. E non ho mai dipinto o disegnato la scena perché provo nei confronti di quel ricordo un rispetto quasi religioso. È la cosa più pura della mia coscienza”.

Viaggiatore instancabile, emigrante in Canada, Taccola arrivò in Molise e a Isernia rimase per molti anni. Ironico osservatore della nostra realtà, innamorato dei nostri paesi e della nostra natura, immaginò e realizzò, nel 1982, un viaggio a piedi per i cinquantadue paesi della provincia. “Era un anno particolare – raccontò ancora nel corso di quella chiacchierata telefonica – Era l’anno internazionale dell’anziano e io compivo sessant’anni, ed era anche l’ottavo centenario della nascita di Francesco d’Assisi. Inoltre, ero diventato nonno. Così decisi che bisognava fare qualcosa di eccezionale per celebrare tutte quelle eccezionalità. Percorsi circa 540 chilometri a piedi per visitare e disegnare i paesi della provincia di Isernia. I disegni furono poi esposti al Palazzo della Provincia in una mostra che riepilogò l’impresa”.

Il tratto vivace di Taccola ha sempre rappresentato l’espressione di una reazione immediata agli stimoli della quotidianità, ma anche l’esplicitazione di una rielaborazione colta delle cose osservate. La sottolineatura della falsità e della cattiva educazione rimanda facilmente alla denuncia aggressiva dei vizi della società tipica dei poeti satirici. Così anche l’ironia estremizzata fino al grottesco, soprattutto in relazione alla corruzione del mondo politico degli ultimi trent’anni del Novecento. Arriva, dalle sue immagini, la gioia della condivisione della presa in giro, insieme all’amarezza del prendere coscienza di un degrado irreversibile.

E poi c’è ancora da dire del Taccola pittore. Il fratello considerato minore dallo stesso caricaturista e che invece va prima o poi recuperato e valorizzato come merita. La mitologia resa contemporanea e la contemporaneità osservata e sofferta fanno parte di questa sezione. Sono tele dolorose, in cui l’elemento religioso compare, a volte, per la necessità di un simbolo forte che restituisca in immagine la sofferenza dell’uomo. Le torri gemelle, la politica internazionale, lo scempio che l’uomo fa della Terra: Taccola partiva dagli argomenti della storia contemporanea per denudare il fragile splendore dell’uomo, per osservarlo e meditarlo, e per sentirsi protagonista e complice di un patto di fratellanza civile e laico che caratterizza e rende eccezionale la sua vita umanamente vissuta.

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