Chiusura di Neurochirugia, Di Lisa: “Macelleria sanitaria”

L’ex consigliere regionale contesta duramente la decisione di chiudere il reparto, per i limiti posti dal decreto Balduzzi sul numero degli abitanti


CAMPOBASSO. “Macelleria sanitaria”. Così Domenico Di Lisa definisce la chiusura del reparto di Neurochirurgia, “un disegno di ridimensionamento della struttura pubblica a vantaggio del privato”. L’apertura del reparto nell’ospedale ‘Cardarelli’, ricorda l’ex consigliere regionale, risale al 1991, epoca in cui non era presente in regione altra struttura del genere. Dopo vari anni apre il ‘Neuromed’ di Pozzilli “e ora si ordina la chiusura della struttura pubblica, giustificandola con i limiti posti dal decreto Balduzzi sul numero degli abitanti.

“Con gli anni – ha aggiunto Di Lisa – si è assistito ad un progressivo disinteresse dell’amministrazione dell’Ospedale Cardarelli al potenziamento della Neurochirurgia, e non è difficile comprenderne i motivi, soprattutto del personale medico che per sopperire alla carenza di organico ha dovuto operare in condizioni di organico ridotto, costretto a turni massacranti, nonostante le ripetute segnalazioni della grave carenza fatte all’Azienda”.

“Sappiamo bene che la patologia neurochirurgica è costituita da una parte elettiva non urgente (per la quale il paziente ha l’opportunità di scelta tra struttura pubblica e convenzionata) e l’altra urgente che richiede che venga trattata nel più breve tempo possibile (a volte non c’è neanche il tempo di portare il paziente in sala operatoria dal momento della diagnosi) in centri attrezzati con tutte le specialistiche chirurgiche d’urgenza collaterali al politrauma (chirurgia d’urgenza, chirurgia toracica, maxillo facciale, chirurgia vascolare, ortopedia, urologia).

“E’ lapalissiano affermare allora – ha rimarcato ancora – che, con la scelta che si sta operando, viene tolta all’utenza che affluisce al Cardarelli, da una qualsiasi parte della regione, la possibilità di essere sottoposti all’intervento neurochirurgico in loco nel più breve tempo possibile, considerando che ogni minuto guadagnato è fondamentale per la vita, e che l’allungamento dei tempi dovuto al trasporto in ambulanza o con altri mezzi e la riedizione dei viaggi della speranza, eredità di qualche decennio passato, presso altri centri attrezzati, incidono pesantemente sul rischio morte, ammesso che si trovi la disponibilità immediata di posti letto altrove in centri attrezzati”.

“La sanità pubblica – ha concluso Di Lisa – ha il dovere di tutelare la collettività affetta da queste patologie tempo-dipendenti, riducendo al massimo i percorsi diagnostico-terapeutici e non dilatandoli con fantomatici accordi-protocolli”.