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Elezioni regionali, idee non proclami

Lucio Di Gaetano

di Lucio Di Gaetano

 Il 2012 passerà alla storia probabilmente come uno degli anni più difficili che il nostro Paese e la Regione abbiano affrontato dal secondo dopoguerra. Tutti gli indicatori segnano un forte rallentamento dell’economia e lasciano immaginare che anche il 2013 non recherà particolare sollievo al portafogli.

Tuttavia credo che la “grossa novità”, parafrasando Lucio Dalla, non sia la crisi o il suo prolungamento per un altro anno, ma la gran confusione alla quale si stanno lasciando andare molti osservatori, i quali dimostrano una memoria incredibilmente corta.

Se ci pensate, in fondo, di crisi in Italia si parla ininterrottamente e con notevole petulanza dai lontani anni ’90 e, se si mette da parte il periodo di bisboccia del Governo Craxi, si può andare ancora più indietro e arrivare addirittura agli anni settanta, quando, con la crisi petrolifera, il sistema-Paese fece la prima brusca frenata in termini di crescita. Eppure ogni stagione sembra nuova, ogni volta pare esserci una nuova causa scatenante, un nuovo nemico: negli anni ’70-’80 si temeva l’inflazione, negli anni ’90 il debito pubblico, negli anni 2000 la disoccupazione, oggi la mancata crescita.

Ma, insomma, qual è il problema?

Esiste un minimo comun denominatore tra le multiformi manifestazioni della “crisi”?

Io ne vedo due, ai quali si possono facilmente ricondurre quasi tutti i fattori di complessità dell’economia del secondo dopoguerra, almeno per il nostro Paese:

1)            La mancanza di una governance chiara;

2)            La straripante spesa pubblica.

Con riguardo alla prima: in Italia, semplicemente, non si sa chi comanda. O meglio nessun gruppo di potere, partito, territorio, pare in grado di prendere la leadership del Paese, mentre moltissimi piccoli aggregati di decisori sono in grado di bloccare qualsiasi slancio, all’esclusivo scopo di difendere i propri interessi. La prova? Ce l’abbiamo davanti: il Governo dei “Tecnici”, forte di una maggioranza e di una fiducia mai registrate da nessun Governo italiano, non è riuscito ad andare molto oltre la reintroduzione di una salata tassa sul patrimonio immobiliare e l’allungamento dell’età pensionabile, arenandosi completamente quando si trattava di riformare la spesa.

Con riguardo alla seconda: l’assunto para-keynesiano in base al quale l’incremento della spesa pubblica è il viatico per massimizzare l’eguaglianza sociale è, semplicemente, falso. I numeri di finanza pubblica dimostrano che l’incremento della spesa è semmai un fattore di diseguaglianza e questo perché coloro i quali governano le risorse pubbliche non sempre – anzi quasi mai – le destinano in maniera efficiente ai più bisognosi. La prova? Anche questa volta è davanti ai nostri occhi: il momento storico nel quale la distribuzione del reddito è stata più equa in Italia corrisponde al decennio tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70, vale a dire quando il debito era pari al 30% del PIL e la spesa annua non superava la stessa percentuale. In due parole, quando siamo noi a spendere i nostri soldi, la ricchezza si distribuisce in maniera più equa sulla popolazione; quando a farlo è lo Stato, la ricchezza tende a concentrarsi su pochi “fortunati”.

In piccolo il Molise replica in pieno le dinamiche nazionali: questi giorni di febbrili e inspiegabili trattative sulle candidature sono la miglior prova dell’incapacità di esprimere una leadership chiara che affligge quasi tutte le forze politiche molisane. Ancora una volta nessuno comanda veramente e tutti vantano il diritto di veto. La cosa più sconvolgente però è che l’oggetto del desiderio, la poltrona di Governatore, è probabilmente il peggior incarico che un uomo politico possa desiderare nel 2013 e questo proprio per il secondo argomento di cui sopra: la spesa pubblica. 

La spesa pubblica regionale è, cifre alla mano, incrostata come un vecchio lavandino: il 95% delle risorse è già vincolato dalle leggi vigenti e il filo d’acqua che rimane – il restante 5% – è appena sufficiente a riempire un bicchiere d’acqua. Chiunque acchiappi quella poltrona dovrà fare i conti con questa realtà e, a meno che non intenda lasciare le cose esattamente come stanno, non avrà altra scelta che aprire il bilancio regionale e smontarlo pezzo per pezzo. E’ possibile? Si, ma solo con un lavoro enorme e utilizzando competenze professionali di primo piano: credetemi, sto studiando la questione da mesi e la sola analisi è già una fatica improba.

Ecco finalmente ci siamo, è proprio questa la questione decisiva: c’è qualcuno tra coloro i quali ambiscono alla carica di Governatore o tra i maggiorenti di partito che abbia una minima idea di quello che va fatto? C’è qualcuno che sappia dove prendere i soldi prima che come spenderli? Oppure si crede che basterà attribuire incarichi, occupare posti e lanciare proclami per governare la Regione?

Mi permetto di lanciare un appello proposta a tutti i candidati o aspiranti tali: il Molise ha bisogno di un Governatore che abbia le idee chiare, la competenza per attuarle e il coraggio di rischiare. Chi non ha le carte in regola o, meglio, ha solo il coraggio, lasciasse perdere e si dedicasse ad altro. 

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