di Lucio Di Gaetano
Non si comprendono a fondo i problemi di finanza pubblica della Regione Molise, se non si ragiona sul settore sanitario. Quanto sia fondamentale è dimostrato dalla semplice lettura delle cifre: circa l’80% del bilancio regionale – non diversamente da quanto accade per le altre Regioni – è speso in ospedali e affini.
Le vicende degli ultimi anni hanno evidenziato abbondantemente quanto anche questo comparto attraversi un periodo difficile: le difficoltà a far fronte ai pagamenti hanno generato un debito talmente enorme da costringere il Governo nazionale a commissariarne la gestione; il commissariamento, come spesso accade in questi casi, si è tradotto in un piano di intervento redatto senza alcuna sensibilità per le istanze della comunità, in una logica di risparmio per il risparmio e di tagli “lineari”. Assistiamo così al classico dialogo tra sordi: da un lato, la gestione commissariale alle prese con il difficilissimo compito di far quadrare i conti conoscendo poco o nulla della realtà locale e, dall’altro, una classe politica regionale sulla difensiva e screditata dal proprio storico immobilismo.
Le difficoltà finanziarie del comparto hanno le loro radici in un meccanismo di finanza pubblica molto semplice: la tesoreria unica regionale.
Fino a qualche tempo fa le Regioni erano dotate di un unico “salvadanaio” – alimentato dal Governo centrale e dalle tasse locali – dal quale attingere per far fronte a tutte le proprie necessità: che quei fondi fossero erogati per la Sanità o per altri scopi, una volta venutane in possesso, la Regione poteva utilizzarli a propria totale discrezione senza che il Governo potesse interferire e ciò in virtù dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione.
Cosa è successo? Semplice: i governi regionali hanno utilizzato, anno per anno, parte dei fondi destinati da Roma alla Sanità per fare altro. Questa decisione ha comportato un inevitabile allungamento dei tempi di pagamento, l’incremento del debito sanitario e, più in generale, il deterioramento della situazione finanziaria delle aziende sanitarie regionali.
A ben vedere, la gestione creativa della cassa avrebbe potuto trascinarsi ancora per qualche anno, tuttavia il ministro Tremonti, alle prese con le note difficoltà del bilancio nazionale, nel 2011 ha deciso di non limitarsi a tagliare i fondi su tutti i capitoli di spesa, ma, tra le urla e fischi di tutti i Governatori regionali, ha separato la tesoreria sanitaria da quella regionale.
Insomma, è finita la festa.
Anche nel comparto sanitario, come negli altri settori, ciò che veramente occorre non è la banale chiusura dei reparti, quanto la riorganizzazione del servizio: in altre parole spendendo meglio si spende anche meno.
Lo studio comparato delle gestioni sanitarie regionali dimostra che il vero problema sta nel fatto che gli ospedali vengono per lo più utilizzati per prestare servizi non di propria competenza.
Mi riferisco in particolare alla cosiddetta “lungo-degenza”: nella stragrande maggioranza dei casi i degenti rimangono in ospedale anche quando è superata la fase “acuta” delle patologie, occupando posti letto che dovrebbero servire per le emergenze. Come mai? Per due motivi:
1) La popolazione è mediamente sempre più anziana e, come purtroppo sappiamo, per ragioni puramente demografiche gli anziani oggi non trovano nella famiglia un supporto di cura e assistenza come accadeva quando c’era un nonno ogni otto nipoti e una mamma ogni quattro figli;
2) In molte Regioni italiane – e in Molise, in particolare – non esiste un numero sufficiente di strutture specializzate per la riabilitazione e ospitalità a lungo termine degli anziani.
Questi due fattori comportano l’inevitabile affluenza di anziani presso le strutture ospedaliere, alle quali essi tendono a rivolgersi anche per patologie banali e a trattenersi più dello stretto necessario. Gli ospedali finiscono così per intasarsi e a pagarne le conseguenze sono tutti i reparti.
Ma non finisce qui: la degenza in un ospedale costa mediamente dai 400 ai 600 euro al giorno; la degenza in una struttura ricettiva e riabilitativa per anziani costa mediamente tra i 40 e i 60 euro al giorno! Trattenere in ospedale persone che non necessitano di cure specialistiche invece che veicolarle in strutture di accoglienza, significa quindi spendere anche molto di più. E questo senza tener conto dell’oggettivo e forzato disagio cui vengono sottoposti i pazienti anziani, dovendo condividere spazi e servizi con malati gravi.
Una prova della correttezza di quello che dico sta nella risposta a due semplici domande:
1) Qual è la Regione rinomatamente più efficiente nella gestione della Sanità?
2) Qual è la Regione con il maggior numero di posti letto per la lungo-degenza di anziani?
In entrambi i casi la risposta è: la Lombardia.
In Lombardia il numero dei posti letto per la lungo-degenza degli anziani è pari a 50.000 unità, vale a dire lo 0,5% degli abitanti della regione. Dirò di più: la graduatoria nazionale delle Regioni efficienti collima perfettamente con quella per posti letto per lungo-degenti.
E’ di immediata evidenza quindi che la mera chiusura dei reparti non serve assolutamente a nulla. Le risorse vanno veicolate sui servizi essenziali, l’assistenza va separata dalla cura medica e il tutto va fatto, come sempre, sulla base di un rigoroso piano pluriennale di investimenti: così facendo si potrebbe risparmiare una somma mostruosa e, come dicevo nel mio primo pezzo sulle “idee a costo zero”, ridare contemporaneamente slancio all’edilizia.
Concludo tornando ai numeri molisani: se applicassimo la percentuale di copertura lombarda, in Molise mancherebbero 1.300 posti letto per lungo-degenti su un totale di 1.600 teorici.
Se questi sono i numeri, mi spiegate perché la Sanità molisana dovrebbe funzionare?