HomeCampobassoMassimo Romano vuole cancellare il Molise: "Diffido da chi difende l'autonomia regionale"

Massimo Romano vuole cancellare il Molise: “Diffido da chi difende l’autonomia regionale”

La lettera sulle celebrazioni dei 50 anni della regione del leader di Costruire Democrazia

CAMPOBASSO. Non parteciperò alla celebrazione del 50esimo anniversario della istituzione della Regione Molise. Un fallimento non si celebra, al massimo si dichiara (ma in questo caso è talmente lampante che forse sarebbe stata più appropriata una commemorazione).
L’unica salvezza per i molisani è che il Molise venga cancellato (almeno per come è stato inteso fino ad oggi) promuovendo il progetto istituzionale di Marca Adriatica, un’aggregazione politico-territoriale molto più ampia, che guardi verso Nord alle regioni limitrofe. Diffido di quanti invocano la difesa dell’autonomia regionale: gli unici a rimetterci, in una ipotesi di aggregazione con Abruzzo e Marche, sarebbero solo quei politici di paese che hanno fatto fortuna proprio sulla dimensione provinciale e a tratti feudale del Molise. Ai cittadini contribuenti interessa la qualità e quantità dei servizi pubblici e la competitività del sistema territoriale, non l’indirizzo del Palazzo dove si riunisce il Consiglio o la Giunta regionale.
Una vera riforma della Regione, probabilmente l’unica possibile, passa attraverso l’ampliamento dei nostri confini geografici e demografici: in questo senso, considero decisiva la riflessione del prof. Giovanni Di Giandomenico che prima di tutti ha rilanciato il dibattito sull’urgenza politica di coltivare forme ed istituti, peraltro costituzionalmente già previsti, di cooperazione giuridica ed economica tra le regioni su settori e servizi pubblici essenziali e strategici. Si tratta di un progetto ambizioso, per il quale occorrono figure dotate del coraggio politico di perseguire un orizzonte più ampio del cortile del proprio giardinetto disseminato di scadenze elettorali, di raccomandazioni, di compromessi al ribasso, di aride rivalse personali e di avarizia (non solo) culturale.
Superare gli attuali confini geografici del Molise non è, infatti, solo un’esigenza aziendalistica per creare economie di scala e di scopo nella gestione di servizi per la cui erogazione ottimale sono richiesti numeri più consistenti. Andare oltre i suoi ristretti confini si impone anche (e, a mio avviso, soprattutto) per ragioni di carattere socio-culturale: non è più concepibile una dimensione della rappresentanza politica sviluppata su scala e con modalità condominiali. Tale approccio produce distorsioni sul piano democratico dei rapporti tra eletti ed elettori; nonché su quello economico, tra stazioni appaltanti ed operatori economici, compromettendo molto spesso una leale (e legittima, oltre che lecita) concorrenza per il mercato; e dunque, in definitiva, tale approccio annacqua la linea di confine tra controllati e controllori, che sconfinano in una zona grigia nella quale i rapporti promiscui diventano socialmente pericolosi, oltre che penalmente rilevanti. Perché in tal modo a perdere consistenza è proprio il fine della politica: la tutela dell’interesse pubblico, non la difesa degli interessi privati propri o dei propri compagni di cordata.
Cosa fa la Regione Molise? E a che prezzo?
Le Regioni sono enti legislativi, ma il Molise è rimasto un ufficio di collocamento o un ente di patronato. Quanto costa il Consiglio Regionale tra stipendi dei consiglieri (con annessi emolumenti e vitalizi) e dei dipendenti? Per quella cifra, quante leggi si approvano in un anno? Di queste, quante vengono osservate dal Governo innanzi alla Corte Costituzionale? E tra quelle che superano il vaglio di legittimità costituzionale, quante hanno il crisma della generalità ed astrattezza e quante, invece, sono leggi-provvedimento per le quali manca poco che vi si aggiunga anche il nome e il cognome del beneficiario? Serve, a queste condizioni e per questi risultati, che i cittadini continuino a pagarne i costi (anzi, il prezzo)? Come si fa, allora, a giustificare ai molisani le aliquote fiscali più alte d’Italia?
Quanto detto a proposito delle funzioni legislative vale anche per le questioni di alta amministrazione. La sanità è il comparto che assorbe circa l’80% del bilancio regionale, eppure la Regione non tocca palla: a causa del grave dissesto finanziario determinato da anni di gestioni politiche dissennate, lo Stato ha commissariato l’ente delegandone i poteri ad un commissario monocratico nominato dal Governo. Perché, dunque, pagare il Consiglio regionale e la Giunta che sono del tutto esautorati di poteri, funzioni e prerogative?
Oltre ai profili giuridico istituzionali, c’è poi la responsabilità politica della classe dirigente locale. Le conclusioni del convegno di domani saranno affidate al Presidente della Regione, il quale celebrerà anche i primi sei mesi del suo mandato. Sarebbe stato gratificante, per un neo governatore, poter dimostrare con i fatti come valga effettivamente la pena di difendere l’autonomia regionale. Temo, al contrario, che guardando ai risultati di questi mesi sarà difficile che qualcuno possa convincersi di ciò: non hanno fatto niente e non si è parlato di nulla, se non di punizioni esemplari per i dissidenti, di comunicati stampa livorosi verso chi abbia osato dissentire, della omessa promulgazione dello Statuto per poter nominare il quinto assessore, dei balletti sulle indennità e sui portaborse per cambiare tutto per non cambiare niente, delle nomine negli enti ai soliti trombati e ai soliti amici degli amici. E per finire di una legge istitutiva di un fantomatico fondo di solidarietà che, a ben guardare, istituzionalizza semplicemente un obolo alla città della scienza di Napoli. A carico dei contribuenti molisani, ovviamente, in nome dell’autonomia regionale…

 

Avv. Massimo Romano

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