Carlo Freccero e la sua ‘Televisione’

Si è svolto ieri a Campobasso l’incontro con uno dei più importanti esperti di televisione in Italia. Presentato all’Auditorium ex Gil l’ultimo libro del noto giornalista, un saggio critico e provocatorio del media più strumentalizzato dalla politica. Un excursus storico-antropologico tracciato con sottile intelligenza dall’ex direttore di Rai 4. Nel corso della serata, spazio per il dibattito sull’editoria in Molise. Monica Vignale di primonumero.it, ha sottolineato l’importanza di una legge che regoli i finanziamenti dell’editoria e il cambio di rotta necessario nell’informazione molisana. Moderatore della serata Antonio Ruggeri de ‘il Bene comune’.

 

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Un momento dell’incontro con Freccero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAMPOBASSO. Si parte da Berlusconi e il legame con la visibilità mediatica dell’uomo che ha cambiato i costumi italiani. “Berlusconi conosce a fondo lo strumento televisivo, volontariamente o inconsciamente, ha saputo muoversi in questa dimensione, a tal punto da influenzare la sua attività politica: ci si ricorda di Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael tra fischi e monetine, la sua ultima immagine televisiva finita nell’immaginario è quella. Berlusconi sapeva che associare le dimissioni nel momento della sua massima debolezza avrebbe cristallizzato nella mente del pubblico questo ricordo”.

 

 Professor Freccero, perché si cerca nel pubblico un interesse per la politica proprio nel periodo di maggiore distacco dell’elettorato? Perché le televisioni propongono i talk in cui il politico è sempre ospite?

“Perché costano molto poco. C’è un periodo di crisi pubblicitaria che determina in qualche modo dei palinsesti a basso costo, fanno sì che il politico sia il genere più facile da proporre, quello che non si capisce è che il talk-show dei vari Lerner, Santoro, Funari, Ferrara conoscono il massimo splendore, esplodono dopo Mani pulite, nel totale avvicendamento dei partiti della prima e seconda repubblica.  Il talk politico funziona quando c’è il cambiamento. Ma se non c’è il cambiamento non funzionano, diventano cose di coazione a ripetere. Prima il governo Monti, poi il governo di larghe intese, per cui  se non avviene il cambiamento, se non c’è il colpo di scena, se non c’è il racconto, c’è solo l’effetto della noia”.

Dalla digitalizzazione abbiamo assistito al proliferare di reti. In Rai se ne contano diverse. Ma se già prima non c’erano soldi per nuove assunzioni e nuove produzioni perché allora arrivare a una quantità considerevole di proposte? I palinsesti, infatti, sono formati per lo più da format inglesi o americani. Mancano produzioni, ma non mancano le idee e le competenze. Anche Sky ha smesso di produrre telefilm come Romanzo Criminale o Boris. Cosa è successo?

“Siamo solamente all’inizio, la vera rivoluzione nascerà quando queste reti inizieranno a produrre e non ci sarà questa crisi a impedire investimenti pubblicitari. Sky preferisce fare i reality invece della fiction e questo è molto grave. Le tv a pagamento o via cavo in altri paesi lavorano sul calcio o la fiction. Adesso invece si spendono soldi per super reality come Masterchef o X-Factor a discapito di fiction. Sky sta preparando comunque alcune produzioni come ‘1992, Tangentopoli’”.

 Il caso ‘Trono di spade’ può essere significativo per comprendere l’ingerenza e il peso decisionale della chiesa nella tv pubblica?

“Questa è un’altra anomalia. La chiesa ha un controllo molto forte in Rai. È come se l’ombra della cupola di San Pietro si gettasse su viale Mazzini e ne impedisse, naturalmente, una selezione. Abbiamo visto addirittura come il personale della Rai sia selezionato dalla chiesa. Il caso ‘Trono di spade’: ha avuto un successo enorme in America ed era impossibile censurarlo, ma le associazioni dei genitori sono intervenute pesantemente. Come il caso dello scandalo di ‘Fisica-chimica’ (serie televisiva spagnola prodotta da Freccero, ndr): l’Agcom mi ha assolto ma la chiesa ha continuato a boicottarmi e il direttore generale, Lorenza Lei, ha continuato a punirmi. Veramente una cosa schifosa”.

L’Italia è il paese più analfabeta d’Europa. Una volta la televisione ha avuto il ruolo di alfabetizzare la massa. Quanto, invece, ha contribuito a quest’impoverimento culturale e cosa può fare per risollevarsi e tornare a essere ‘un insegnante’?

“La televisione come la scuola ha un importante ruolo nell’istruzione. Negli ultimi anni la tv commerciale ha proposto un modello di vita fatto di soldi e di successo personale. Quella che era la forza della borghesia, ovvero il legame studio-economia, si è frantumato. Il consumismo ha preso il sopravvento. L’università è diventata emporio e l’emporio non ammette cultura. Il risultato è un paese fermo, ignorante, non pronto per la modernità e che esalta l’esclusione sociale”.

 Quindi internet può sostituire la tv in questo ruolo?  L’immediatezza, la velocità del web cosa fanno perdere e cosa fanno guadagnare?

“Tutti i nuovi media permettono di informarsi in maniera gratuita o quasi. È da verificare se l’informazione dal basso ha lo stesso successo di internet. Ad esempio il corriere.net è più coraggioso rispetto al cartaceo, non a caso la Gabanelli è una firma di punta. Il giornale invece è molto più allineato. Si guadagna su internet perché si è sempre connessi a quello che accade. Ci vuole però approfondimento, ragionamento, inchieste, non si risolve con la dietrologia. Bisogna ancora aspettare perché serve del tempo”.

 Ricordando il caso di Rai per una notte o Santoro e i centomila, è possibile avere una televisione senza padroni?

 “La scommessa è proprio questa: è possibile avere un controllo dal basso che sconfigga il conformismo dei giornali che affligge la maggior parte della stampa?”

 

 

Donato Giannini