Completato dopo 35 anni dall’inizio degli scavi – tuttora in corso – contiene fossili e reperti di 650mila anni fa. L’unicità del giacimento attira, a 24 ore dall’inaugurazione, l’interesse del ‘Corriere della Sera’ e della nota rete satellitare americana
ISERNIA. La Cnn e ‘Il Corriere della Sera’, a sole 24 ore dall’apertura, ne hanno già proiettato le bellezze sul proscenio nazionale e internazionale. La gemma della città, il Museo del Paleolitico, ha aperto finalmente i battenti nella sua interezza: il 19 dicembre scorso, dopo 35 anni di tribolazioni, sia il padiglione scientifico – inaugurato nell’aprile 2012 – sia quello espositivo contenente i reperti prima custoditi nel museo di Santa Maria delle Monache, sia alfine quello didattico, ultimo in ordine di arrivo a vedere la luce, sono finalmente accessibili al pubblico. E ai media internazionali, come la famosissima rete satellitare americana Cnn, che ha intervistato la responsabile dell’area museale isernina, l’archeologa dell’Università del Molise Antonella Minelli.

Alla presentazione ufficiale, tra gli altri, erano presenti il sindaco di Isernia Luigi Brasiello, visibilmente emozionato, e il direttore per i Beni Culturali del Molise, Gino Famiglietti, a simboleggiare un rinnovata collaborazione interistituzionale per far decollare il museo. Con loro, la professoressa Minelli.
Cinquemila circa i resti presenti all’interno del museo, a testimonianza della vita umana in Molise: in merito, il ‘Corriere della Sera’ ha parlato di cugini molisani dell’Homo Heidelbergensis’, che mangiavano carne cruda di enormi animali feriti o già sbranati da altre bestie”. Le ossa venivano spezzate “per nutrirsi del midollo. Finito il pasto, i resti venivano gettati in una parte del fiume Volturno, che oggi non esiste più. Lì, in quel letto prosciugato da decine di migliaia di anni – ancora il ‘Corsera’ – è stato ritrovato un materiale veramente unico”. Intorno al quale, nel 2012, è stato aperto il succitato padiglione scientifico, dove i visitatori – 11mila da aprile dell’anno scorso ad oggi – hanno la possibilità di ammirare il prezioso paleosuolo.

Si tratta di una porzione restaurata della paleosuperficie ancora in corso di scavo, che raccoglie numerosi reperti: resti di elefanti, bisonti e rinoceronti che, nell’era più lontana, hanno popolato il territorio molisano. Il paleosuolo è stato riportato alla luce e restaurato dagli studiosi dell’Università di Ferrara, in collaborazione con esperti dell’ateneo molisano. A supporto dei turisti , è stata installata una postazione multimediale che accompagnerà gli utenti nel loro viaggio nel periodo Paleolitico, aiutandoli a ricostruire i momenti storici salienti e le caratteristiche dei reperti esposti. Un’altra importante tappa, insomma, è andata ad aggiungersi al viaggio nel percorso evolutivo dell’uomo, dal Paleolitico all’età dei metalli, completando così il percorso di visita che comprende, inoltre, anche il padiglione degli scavi diretti dal professor Carlo Peretto dell’Università di Ferrara. Ma veniamo all’ultimo arrivato.
IL PADIGLIONE DIDATTICO. L’allestimento del grande padiglione didattico (800 mq circa) prevede un percorso espositivo che mira a mettere in evidenza e comunicare con la massima chiarezza possibile per i non esperti e per il pubblico in età scolare, principale fruitore del sito, le scoperte archeologiche per la fase pre e protostorica in Molise. Il concept del padiglione, infatti, è quello di mettere a sistema tutta la preistoria molisana. L’obiettivo dell’esposizione, dunque, è quello di presentare in maniera semplice, ma scientificamente corretta, le fasi salienti del percorso evolutivo che l’uomo ha compiuto in centinaia di migliaia di anni, dal paleolitico all’età dei metalli. Il grande padiglione didattico ospita tre sezioni caratterizzate da differenti colori (quelli presenti in natura, cioè rosso, ocra e verde) usati per caratterizzare una scansione temporale dell’evoluzione culturale.

La prima delle tre sezioni riguarda il periodo dal Paleolitico inferiore al Paleolitico superiore, con esposizione dei materiali di Monteroduni, Rocchetta al Volturno e Pescopennataro; l’allestimento di questa sezione, evidenziata dal colore rosso, prevede la realizzazione di una capanna di arbusti e frasche (cm 300x200x200 di altezza).

Si passa, poi, alla sezione che attraversa il periodo dal Paleolitico medio a quello superiore, con esposizione dei materiali di Civitanova del Sannio. L’allestimento di questo settore – di colore ocra – ruota attorno alla riproduzione della grande roccia-riparo di Civitanova, con le incisioni rupestri e i ripari in grotta.

Infine, vi è la sezione che va dal Neolitico all’età del Bronzo con esposizione di materiali di Monteroduni-Località Paradiso, Campomarino e Rocca Oratino (3 vetrine per circa 100 reperti e 3 pannelli didattici); presso tale sezione, evidenziata dal colore verde, è realizzata la riproduzione di una capanna dell’Età del bronzo, con tetto a spiovente con l’incastro triangolare di giunchi e legni.
L’allestimento, curato da una ditta di Roma, ricostruisce l’ambientazione dei contesti con capanne e ripari in roccia che sono da supporto didattico a un visitatore poco esperto per meglio comprendere i modi di vita in epoca pre e protostorica. Lo stesso è reso ancor più evocativo dalla suggestiva presenza dei corsi fluviali che hanno accompagnato l’evoluzione umana nei vari siti e che sono rappresentati dal fiume Volturno e dal Biferno (resi con illuminazione blu a led).

I pannelli didattici – buona parte dei quali realizzati dall’artista livornese Umberto Taccola, isernino di adozione – ripercorrono le fasi salienti dell’evoluzione culturale dell’uomo, dalla scoperta del fuoco alla nascita dell’arte. I pannelli presentano tre livelli di comunicazione: italiano, inglese e italiano per i bambini.
La sala sarà gestita dai giovani laureati dell’Unimol i quali, in virtù di un accordo tra la Soprintendenza dei Beni Culturali del Molise e una società di servizi dell’Università, faranno assistenza didattica alle visite, laboratori scientifici per gli studenti e realizzeranno i gadget a tema da mettere in vendita. Una circostanza fortemente sottolineata da Famiglietti: “Se il Ministero non può offrire posti di lavoro – ha detto – può almeno dare loro un’opportunità”.

ISERNIA ‘LA PINETA’: LA STORIA. Era il 1978 quando Alberto Solinas, appassionato di archeologia, portò alla luce diversi reperti, emersi a seguito dei lavori per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto. Gli sbancamenti misero in luce potenti stratigrafie che si estendono per centinaia di metri, con uno spessore anche di 10 metri, da cui affioravano numerosi resti di fauna associati a strumenti litici di indubbia antichità. Solinas interessò subito del ritrovamento i professori Carlo Peretto e Benedetto Sala dell’Università degli Studi di Ferrara. I campioni di varia natura provenienti dal giacimento Paleolitico, dopo vari esami, furono giudicati databili tra i 650mila e i 700mila anni fa. Gli interventi di scavo, condotti tra il 1979 e il 1993 per poi riprendere nel 2000 e ancora oggi in corso, hanno riguardato due distinti settori: il I settore di scavo, posto a Nord-Est del tracciato ferroviario, dove tutt’oggi le attività di ricerca sono in corso, e il II settore di scavo, posto a Sud-Ovest del tracciato ferroviario, a circa 50 metri dal I settore, indagato esclusivamente nel 1979 su una superficie di 90 metri quadri. La Pineta, insomma, rappresenta solo una piccola porzione di un giacimento enorme che deve essere ancora portato alla luce, sul quale si lavora ogni estate.
I REPERTI. Il materiale paleontologico e paletnologico rinvenuto è per lo più caratterizzato da numerosi frammenti ossei appartenenti a bisonte, rinoceronte, ippopotamo, orso, elefante e cervidi associati in misura variabile a resti di industria litica sia in selce che in calcare. La distribuzione areale dei reperti è piuttosto omogenea e regolare, soprattutto per quanto riguarda i reperti faunistici. Quanto all’industria litica di ‘Isernia La Pineta’, essa è rappresentata da migliaia di manufatti, in selce e in calcare, distribuiti in maniera variabile su tutte le quattro archeosuperfici individuate.