HomeEDITORIALIL'EDITORIALE/ Il declino sarà eterno?

L’EDITORIALE/ Il declino sarà eterno?

Tra spopolamento, scarsissimi investimenti nella ricerca, fuga dei cervelli, una spietata ma lucidissima analisi della situazione regionale

 

di Nicola Paolino*

 

Gentilissimo Direttore,

qualche tempo fa ci confrontammo sulla situazione della Regione Molise con conclusioni drammaticamente negative. Negli ultimi tempi ho incontrato diverse persone che mi chiedevano: ”Come andrà a finire?”. La risposta non poteva che essere: “Male”. Questo perché ciò che stiamo vivendo non è altro che il risultato di una non azione di lungo periodo. Il mio amico Pasqualino Piersimoni, presidente della Camera di Commercio, ha dichiarato che la crisi è certificata dal fatto che in dieci anni la provincia di Isernia ha perso 3.000 residenti. Forse non ha visto bene. Mi spiego: sono ormai centocinquanta anni che il nostro territorio è in preda ad una ossessione espulsiva pari solo alla capacità millantatoria della classe dirigente molisana. Si celebrano in questi mesi i primi cinquant’anni dell’autonomia regionale a cui seguì l’effettiva costituzione dell’istituzione Regione nel 1970 e poco dopo della Provincia di Isernia. Se si dà uno sguardo ai dati, i risultati sono a dir poco devastanti: siamo l’unica regione che dall’Unità D’Italia ha perso popolazione in termini assoluti. Se non bastasse, il territorio dell’allora circondario di Isernia, (successivamente Provincia) ha perso il 28,04% della popolazione, mentre l’Italia ha moltiplicato gli abitanti per 2,2. E qui un record: siamo i primi d’Italia in termini di spopolamento. Non è tuttavia l’unico: l’altro è la maggiore percentuale d’Italia di Iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiana Residenti Estero). La cosa ci fa onore ed è un’ottima notizia per il crescente numero di giovani che in questi mesi stanno preparando le valigie per migrare. Vi chiederete perché: perché per migrare efficacemente c’è bisogno di reti di appoggio  e noi ne abbiamo in abbondanza. Siamo pronipoti di quella classe dirigente fatta di piccoli signorotti che, mentre cercava per se l’impiego pubblico, a cavallo tra Ottocento e Novecento, spediva –  gestendo oltre 400 agenzie di emigrazione ed attraverso “sperticate promesse” – 332.000 molisani su poco meno di 400.000 in giro per il mondo. Tra di loro anche 221 contadini che, chissà per quale motivo, andarono nel 1907 in Cile e Perù. Allora come oggi, la situazione doveva essere drammatica se in 1.703 attraversarono l’oceano per sostituire gli schiavi brasiliani liberati nel 1888. Quegli emigranti non si fecero mancare nulla. Coprirono tutte la aree del mondo inviando esploratori nei vari continenti e nazioni: 79 in Messico nel 1882, 3 nel 1912 in Australia, 41 in Egitto nel 1883. La nostra “vocazione migratoria” si è rafforzata nel Dopoguerra, quando altre decine e decine di migliaia di molisani invasero l’Europa non tralasciando i vecchi percorsi. Ed è qui che si rafforza ulteriormente la rete di cui sopra. In questa fase storica, essa è l’asset più importante di cui poter disporre in caso di bisogno. Quanto detto finora rimane comunque una descrizione di ciò che è accaduto e che sta accadendo. La cosa grave è che non ho sentito nessuno, nel mare di retorica dei festeggiamenti, fare cenno a questi dati. Forse è inutile? O forse è imbarazzante? Potrebbe anche essere vergognoso. Scegliete voi.

 

Venendo ai giorni nostri, la ripresa feroce dell’emigrazione non è altro che la “solita” risposta che noi molisani diamo da oltre un secolo e mezzo. Il fatto è che oggi non partono contadini e artigiani analfabeti o semianalfabeti, ma frotte di laureati (27%). Ovviamente questa ricchezza intangibile contribuirà ad aumentare il vantaggio competitivo delle aree di arrivo senza che nessuno si ponga il problema. Ma il problema lo avranno capito i nostri amministratori regionali? Penso di no e c’è un motivo: nessuno di loro ha parlato del rapporto sulla competitività delle regioni d’Europa in cui il Molise si distingue per un incredibile 201 (duecentunesimo) posto nella classifica generale ed un 241° (duecentoquarantunesimo) posto nel sotto indice per l’innovazione su 262: vale a dira tra le 20 regioni meno innovative d’Europa. Bisogna dire però che non siamo soli: poco prima e dopo di noi possiamo incontrare le zone più interne della Bulgaria, la Macedonia e con lo stesso punteggio la Martinica e la Guadalupa (territori francesi d’oltremare con, tuttavia,  maggiori potenzialità turistiche).

 

Sarebbe interessante sapere se conoscono la percentuale di spesa in ricerca e sviluppo dell’economia regionale. Posso dire che è molto facile ricordarla in quanto corrisponde a due terzi dei prefissi di Campobasso ed Isernia: basterà dividere 0874 o 0865 per tre  e poi moltiplicare per due ed ottenere 0,6%. Inutile dire che anche questo è un record! Ancora, abbiamo 1,3 addetti ogni 1.000 abitanti per ricerca e sviluppo contro 1,8 del Mezzogiorno e 3,7 per l’Italia che a sua volta è abbondantemente al disotto dei valori medi europei:  il più basso d’Italia e tra i più bassi d’Europa. In questi decenni abbiamo avuto un effetto ottico che ha impedito ai più di svegliarsi. Ci raccontano che il Pil pro capite cresceva ma non notavano che il denominatore della divisione rimaneva basso perché in tanti sceglievano lidi meno tristi. Nel marzo del 2012, organizzai con amici, impegnati ai massimi livelli nella ricerca, l’università e l’innovazione, una manifestazione che si tenne la sera dell’inaugurazione dell’Auditorium. Chiedevamo alla classe politica più stravagante d’Italia l’utilizzo di parte dei locali per un incubatore di aziende. Ci fu risposto, da signore impellicciate e noti devastatori della città:” Andate a lavorare!” Sono disposto a perdonare, in quanto i poverini, probabilmente non avevano capito di cosa parlavamo. La cosa che più mi dispiace è il non aver ricevuto alcun appoggio né da politici, né da ordini professionali, tantomeno dalla Camera di Commercio istituzionalmente corresponsabile di questo sfascio epocale. Ovviamente non tutto va male! Ci sono bellissime esperienze in giro caratterizzate da scarsissimi o nulli rapporti con la politica che vanno benissimo! Ed è forse per questo che vengono ignorate. O sono ignorate perché le ignorano? Un po’ e un po’. Se provate a parlare con giovani che hanno idee innovative scoprirete il senso di abbandono che li pervade. Da noi mancano i più elementari schemi organizzativi nel campo dell’innovazione. Il primo e più importante, in una realtà disperatamente arretrata, è il circuito informativo: per produrre idee di livello, spesso, vi è bisogno di competenze trasversali. Molti giovani ignorano di averle a cento metri da casa semplicemente perché manca una piattaforma di incontro. A questo bisogna aggiungere la necessità di finanziamenti adeguati. Normalmente si fa riferimento a quelli pubblici, ignorando che vi è un cambiamento notevole nella percezione del rischio da parte degli investitori. Finite, per fortuna, le certezze sugli investimenti in Bot o in immobili, si stanno aprendo nuove opportunità per chi dispone di capitali che in regione sono tanti: circa tremila persone nella regione Molise dispongono di una ricchezza finanziaria superiore ai 500.000 euro. Intercettarne una minima parte, attraverso la piattaforma di cui prima, attiverebbe un proto circolo virtuoso. Per non parlare del Decreto Passera sulle imprese innovative e tanto altro ancora. Di più, un meccanismo del genere darebbe uno sbocco effettivo alla tante competenze in giro per il mondo per creare una sorta di banca del tempo di altissimo livello. A ciò si può aggiungere un discreto numero di dirigenti di aziende locali che  in questa fase raccolgono successi sui mercati internazionali: mi riferisco ad aziende impegnate con successo nel campo dell’informatica, delle cure mediche, dei prodotti alimentari, nella produzione di sistemi altamente sofisticati, nelle biotecnologie, nell’agricoltura a km zero. Valga per tutti l’esperienza di Gate, il gruppo guidato brillantemente da Nando La Posta ed Antonio Caroselli che hanno realizzato un gioiello di valenza mondiale e che, nel tempo, è stata palestra per altri giovani imprenditori. Sono convinto che un contenitore di questo tipo sarebbe capace di risolvere molti problemi del primo stadio. Certo, l’intervento pubblico rimarrebbe decisivo ma ci sono cose che non necessariamente, per partire, ne avrebbero bisogno. Sarebbe interessante avere su ciò il parere della Confindustria e di altre associazioni di categoria a cominciare dall’Ordine dei Commercialisti, che tanta parte potrebbe avere in un’opera di indirizzo e di assunzione di responsabilità.

 

Una domanda da porsi è la seguente: gli imprenditori, in questi anni hanno fatto tutto ciò che era nelle loro possibilità? Di quanto è cambiata la struttura produttiva delle aziende? Quali processi di crescita dimensionale sono stati attivati? Quante reti sono nate? Qui la politica non c’entra. Si tratta di capire se il mondo imprenditoriale molisano vuole continuare a vivere di spesa pubblica  o diventare adulto. Illuminanti le dichiarazioni del presidente dell’Associazione dei Costruttori Edili che chiedono di riattivare le colate di cemento in una regione  con sovraofferta edilizia e decremento demografico. Sarebbe magari più interessante diversificare i propri  investimenti nel cosiddetto settore “Food” dove le esportazioni stanno crescendo del 25% annuo. Ai costruttori magari do un consiglio: mettete a disposizione  i vostri capannoni vuoti per chi vuol fare qualcosa invece di vederli inutilizzati per anni. Difronte ad una crisi come quella del tessile, che rischia di disperdere un patrimonio di professionalità costruito in decenni, sarebbe opportuno creare dei percorsi che incentivino la nascita di nuove micro aziende. Tragicamente, le politiche messe in campo vanno nell’unica direzione che la nostra classe politica conosce: distribuzione di elemosina a pioggia per moltiplicare un consenso miserabile. Mi riferisco ai micro finanziamenti da 25.000 euro che non servono assolutamente a niente.  Il compito è sicuramente arduo, ma se si riflette sugli ultimi trenta anni si noterà che le grandi novità sono legate all’innovazione a all’eccellenza. Lo è stato per l’Ittierre, azienda quotata in borsa e che raggiunse fatturati da capogiro, lo è stato e lo per Neuromed. Anche se due casi in salsa molisana, hanno dimostrato e dimostrano, in un mondo sempre più competitivo, l’importanza di avere forti tratti distintivi. Con ciò ritengo che non bisogna guardare alla Silicon Valley per fare le cose ma chiedersi, se mai, quali sono i primi due passi dei cento che servono. Applicare i principi delle economie in via di sviluppo dove un paio di occhiali sono più utili di una banca d’affari. Usciremo da questa crisi devastati socialmente ed economicamente con indicatori macroeconomici tra i peggiori d’Italia. Sarà la certificazione definitiva di come una classe dirigente avrà contribuito ad ammazzare il paziente. La riprova sta nel fatto che i nostri giovani hanno continuato ad emigrare anche quando l’Italia cresceva. Quindi, se si dovrà continuare per questa strada, sarà meglio chiuderla la Regione Molise.

 

P.S. La vicenda dei “portaborse” d’altro canto è illuminante: mi sarei atteso, da parte del presidente della Giunta regionale, uno scatto di orgoglio “renziano” dicendo, per esempio, che da domani si cambia. Come? Raddoppiando i fondi ed imponendo che il titolo minimo degli “aiutanti di campo” fosse quello di Dottore di Ricerca facendo rientrare in gioco un bel po’ di espulsi dalle natie terre. 

 

 

* sconfitto di centrosinistra

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