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Maxi truffa all’Ittierre, Bianchi è parte civile e spunta la richiesta di rito abbreviato

ISERNIA. E’ stata aggiornata al 6 novembre prossimo l’udienza preliminare per la maxi truffa da 10 milioni di euro ai danni dell’Ittierre, consumatasi nel periodo di transizione tra Tonino Perna e la gestione commissariale. In quell’occasione, il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Isernia, Elena Quaranta, dovrà esprimersi sulla richiesta di rito abbreviato condizionato ad una perizia contabile, avanzata dagli avvocati Francesco D’Orsi e Fabio Milano per uno degli imputati, loro assistito. Se l’istanza dovesse essere accolta, la posizione di quest’ultimo dovrebbe essere stralciata dal procedimento ordinario, che andrà avanti invece per le altre persone finite a giudizio. Sette, in tutto, i soggetti coinvolti nella vicenda: un ex dipendente, un consulente e cinque tra fasonisti e produttori esterni, sei dei quali accusati di truffa aggravata in concorso e uno anche di riciclaggio. Il gup, nell’ultima udienza, ha rigettato la richiesta di una perizia calligrafica ed ha proceduto ad ammettere la costituzione di parte civile dell’ex patron Antonio Bianchi, colui che, accortosi della truffa, presentò un esposto in procura. Anche la gestione commissariale, targata Stanislao Chimenti, Andrea Ciccoli e Roberto Spada, ha deciso in una precedente occasione di costituirsi parte civile per il tramite dell’avvocato Arturo Messere. I commissari chiedono 10 milioni di euro di danni: quello sparito nell’ambito del mega raggiro era infatti denaro pubblico, sottratto allo Stato, che ora la triade nominata dal Governo punta a recuperare.
Secondo le accuse, gli imputati avrebbero attestato la bontà di una serie di fatture false emesse da quattro società operanti nella produzione di abbigliamento, che percepivano introiti per prestazioni o cessioni mai effettuate all’azienda tessile di Pettoranello.
Grazie alla connivenza di due dipendenti infedeli, tali società – una di Isernia, una di Perugia, due di Modena – avrebbero emesso, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2010, fatture false per un importo di oltre dieci milioni di euro. Ma qual era il modus operandi? Presto detto: uno degli imputati, all’epoca dei fatti contestati, era collaboratore interno della ex Ittierre Spa e il suo ruolo – secondo la Guardia di Finanza di Isernia, che ha svolto le indagini– “era quello di attestare la bontà delle fatture false, emesse da quattro distinte società (due delle quali riconducibili ad egli stesso), che venivano in tal modo puntualmente saldate per un importo complessivo di oltre dieci milioni di euro”. Costui – che rischia fino a sei anni di carcere – avrebbe anche provveduto a tentare di ‘ripulire’ una parte del denaro proveniente dalla Ittierre spa in amministrazione straordinaria attraverso una serie di operazioni finanziarie, nonché attraverso l’acquisto di immobili ad uso commerciale e abitativo – anche di pregio – a Isernia e Vasto, a quanto pare intestate a parenti e prestanome nel tentativo di sfuggire all’Agenzia delle Entrate. L’attestatore infedele – cosa a dir poco singolare – in cambio del visto che autorizzava il pagamento, avrebbe finanche percepito assegni circolari per 166mila euro dalle società beneficiarie: una mazzetta bella e buona, insomma, non già sotto la consueta forma di contanti, ma attraverso un titolo di credito che garantiva la certezza del pagamento. Forse un caso più unico che raro, in campo di tangenti o presunte tali.
Le indagini, delegate dal sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Isernia, Federico Scioli, alla Guardia di Finanza pentra, hanno permesso di rilevare come una società facente capo a uno dei sette accusati abbia anche sottratto 1.5 milioni di euro al Fisco. La stessa avrebbe emesso, negli anni 2009 e 2010, ossia nella fase contrassegnata dall’arrivo dei commissari straordinari, fatture apocrife in favore di altre società che, a loro volta, avrebbero tratto notevoli vantaggi economici da Ittierre. L’importanza della frode assume ancor maggiore rilievo se si considera che, negli anni oggetto d’indagine, l’Ittierre ha affrontato profonde difficoltà economiche, fino al punto di ricorrere, come noto, alla legge Marzano per le grandi imprese in crisi.

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