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La cattedrale di Isernia, dalle origini ai nostri giorni

ISERNIA. Un successo annunciato, quello dell’architetto venafrano Franco Valente, che pochi giorni fa ha raccontato i segreti della Cattedrale di Isernia con il suo stile inconfondibile. Valente, di fronte a circa 300 persone, si è occupato di ricostruire la storia dell’edificio di culto cattolico più importante del capoluogo pentro. “Isernia è città di origine italica – ha spiegato Valente – e come tutte le città italiche fu conquistata dai romani che immediatamente vi trasferirono i culti per le loro divinità. Nel 263 avanti Cristo divenne una colonia romana affidata a coloni latini che, nel punto dominante della nuova città, edificarono un grande tempio dedicato a Giove. Le sue basi ed il grandioso podio furono poi utilizzati dai cristiani che, sul luogo dedicato alla più importante delle divinità romane, costruirono una cattedrale intitolata a San Pietro, primo successore di Cristo. Ma il tempio latino non aveva l’ingresso come oggi verso la piazza del Mercato. Tanto si capisce dalle strutture sotterranee che sono tornate alla luce e dalle grandi cornici a gola rovescia che si ritrovano non interrotte sotto il portale di oggi. Alle sue celle si accedeva originariamente da una grande scalinata che era sistemata nella parte opposta all’attuale ingresso, proprio all’altezza di quel vicolo che ancora è dedicato a quel Giobbe che non è altro che la trasformazione dell’originario termine latino di Jovis. Il vico di Giobbe, dunque, è l’antica via di Giove, attraverso la quale si arrivava al grande tempio dedicato alla triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva”.
L’architetto, nella sua analisi, ha ricostruito la funzione avuta dalla cattedrale per Isernia: essa ha sempre rappresentato il centro simbolico della sua storia e il riferimento del lungo e travagliato sviluppo urbano, conservando in ogni tempo il carattere e la funzione di luogo sacro per la città. Il termine cattedrale indicava l’originaria e specifica funzione di ospitare nella chiesa più importante della diocesi la cattedra vescovile: “ecclesia cathedralis”, cioè la chiesa della cattedra del vescovo. Essa, insomma, era la chiesa del vescovo della diocesi di Isernia. Nonostante terremoti, guerre, l’insidia del tempo e l’incuria degli uomini abbiano spesso messo in crisi questo monumento, la cattedrale è sempre risorta, anche dopo lunghi anni di scavi archeologici che comunque hanno aiutato a capire la sua storia e la sua importanza.
Secondo Valente “gli scavi effettuati recentemente (anni 80) al suo interno, e che oggi sono ancora in corso, hanno accertato che il tempio aveva il fronte principale rivolto a sud-ovest, verso il cosiddetto vico di Giobbe e la vicina ‘Porta Giobbe’, che potrebbe dunque significare porta di Giove proprio in relazione al tempio che vi si trovava vicinissimo. D’altra parte, Giove veniva considerato padre dei Latini ed era venerato con tale nome da tutte le popolazioni italiche, tanto che suoi templi si trovano un po’ ovunque. Il perimetro del tempio era abbastanza simile a quello dell’attuale cattedrale, infatti all’interno del cortile lo scavo ha rivelato che la parete occidentale poggia sulla cornice del podio con il medesimo sistema della parete orizzontale lungo corso Marcelli”.
La parte posteriore, la cosiddetta ‘pars postica’ del basamento del tempio è stata individuata, all’interno della basilica, leggermente arretrata rispetto all’attuale facciata, che di conseguenza non risulta appoggiata sul podio ma sul lastricato di quello che era il foro. Per tutta l’area della chiesa sono più o meno conservati i piani di calpestio corrispondenti alle varie evoluzioni subite dal monumento nei tempi, con la scalinata posizionata al di sotto dell’altare maggiore.
Sempre secondo l’architetto “non è facile dunque arguire a quale epoca sia da attribuire la prima riutilizzazione dell’impianto templare romano, anche se alcune coincidenze ci possono far supporre che nel V secolo già una struttura basilicale di tipo bizantino poteva esservisi sovrapposta, conservando lo stesso orientamento del tempio antico e quindi con l’apertura verso la porta di Giove: porta Giobbe”.
È da ritenere, invece – continua Valente – che fin dal primo momento l’intitolazione sia stata fatta a S. Pietro, anche se la prima citazione risale al IX secolo quando il monaco Sabatino, nell’elencare i beni che nell’881 erano posseduti dal Monastero di S. Vincenzo in Isernia, riferisce che un mulino presso il fiume Padulittu, forse il Sordo, era diviso in tre quote, e una di esse apparteneva all’Episcopio di S. Pietro.
“Nel XVII secolo – ha concluso Valente – fu il vescovo De Peruta, che sedette sulla cattedra isernina dal 1769 al 1818, ad avviare immediatamente una ricostruzione della cattedrale, che durò oltre mezzo secolo tra molte difficoltà. Grande impulso ai lavori fu dato dal vescovo spagnolo Adeodato Gomez Cardosa, che insediatosi nel 1826 provvide a completare i lavori di sistemazione dell’interno. Altri lavori furono eseguiti negli anni seguenti. Nel 1903 si rifece il pavimento in marmo e negli anni venti Amedeo Trivisonno dipinse gli affreschi della cupola terminandoli nel 1927. Dopo il bombardamento del 1943 si dovettero ricostruire due colonne del pronao fortemente danneggiate. Infine, negli anni Sessanta il vescovo Achille Palmerini fece rivestire in marmo policromo i pilastri e le pareti dell’interno e apportare lievi trasformazioni in conseguenza delle nuove disposizioni liturgiche”.

FC

 

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