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Ebola e terrorismo islamico: in Nigeria il console di origini molisane

RIONERO SANNITICO. Rionero Sannitico, piccolo comune dell’alto Molise, è da sempre fucina di personaggi al limite dello straordinario. Certo, non tutti noti per virtù positive, ma ci piace, oggi, segnalare la storia di uno dei suoi figli al quale non è ancora stato reso giusto onore esclusivamente per un motivo: non parlava mai della sua reale professione.
E così poteva capitare di vederlo lì, seduto vicino ai suoi nonni novantenni, sorridente e rilassato, senza sapere che ci si trovava di fronte al console generale del Canada.
Marcello DiFranco, 40 anni, ha accettato di buon grado di rilasciare un’intervista allo scrivente (nonché suo vicino di casa), e così, davanti a un buon caffè italiano e del salmone affumicato, suo omaggio proveniente dall’ultimo viaggio in Islanda, ci ha regalato la sua storia prima di ripartire per la Nigeria, dove attende la promozione da ambasciatore.

Ci parli delle sue origini rioneresi.
“La famiglia di mio padre, Antonio, era di Rionero Sannitico. Quella di mia madre, Olga, di Predalve, una sua frazione. Papà aveva tre fratelli e due sorelle. Suo padre (Vito DiFranco) è morto quando papà era un bambino e mia nonna Maria, la mamma di papà, ha dovuto crescere sola i bambini. Quando papà era adolescente, è partito da Rionero per lavorare a Roma e poi in Germania. Durante questi anni, tornando a Rionero, conobbe mia madre. Una delle sorelle e un fratello di papà erano già emigrati in Canada e volevano che papà li seguisse. Con pochi soldi e senza conoscere la lingua inglese, i nuovi sposi decisero di incominciare una nuova vita in Canada”.

Cosa ha permesso che rimanesse legato all’Italia?
“Papà ci parlava in italiano per non disperderne la cultura. Ogni sabato, fino ai diciotto anni, ci portava alla scuola Dante Alighieri per imparare di più. Durante quegli anni ho conosciuto tante persone, italo-canadesi come me, che poi sono diventate i miei migliori amici, fino ad oggi. Mamma e papà ci parlavano di Rionero, dell’Italia e delle tradizioni rioneresi, specie culinarie. Mia madre infornava il pane fatto in casa con le patate, faceva la polenta, le frittelle e ogni anno, quando arrivava la Santa Pasqua, comprava il latte fresco e faceva il formaggio, l’ingrediente speciale per fare i fiadoni. Ricordo tante volte, tornando da scuola, il mio desiderio per pranzare con “r’ mignerigl”. Papà ci parlava dei suoi campi, delle mucche che avevano e anche del grande pranzo che una volta aveva preparato il suo miglior amico d’infanzia, Guido D’Amico, per il giorno del matrimonio. Ho tanti bei ricordi della mia infanzia e sono molto orgoglioso delle mie origini rioneresi”.

Quali studi ha svolto e di cosa si occupa attualmente?
“Mi è sempre piaciuto viaggiare e conoscere culture diverse. A quattordici anni, cominciando le scuole superiori, capii di voler studiare commercio internazionale. Poi, a diciotto anni, sono entrato nell’Università di Carleton a Ottawa e quattro anni dopo mi sono laureato con un Bachelor di Commercio. Nella mia università ero il capo del Circolo ‘Caffé italiano’. Poi, grazie ad una borsa di studio della Regione Molise, dal Canada sono venuto a studiare in Italia, nel ’93, venendo a contatto con la i tratturi e la transumanza, scoprendo Sepino, i Sanniti, etc. Ho conosciuto altri studenti italo-canadesi e anche tanti giovani molisani. E’ stato veramente un onore e un’esperienza indimenticabile. Ritornando a Ottawa, poi, ho iniziato il Master in Business Administration (MBA) con specializzazione in Commercio Internazionale e un anno dopo, a ventitré anni, ho cominciato a lavorare in Francia nell’ufficio centrale di Peugeot Citroen. Il mio primo incarico diplomatico all’estero fu a Città del Messico, come consigliere diplomatico. Lì ho vissuto per tre anni. Dopo due anni in Canada, mi sono trovato in Messico un’altra volta, nel nord del paese, a Monterrey. Il mio incarico era quello di console nel Consolato generale del Canada. Da lì sono arrivato in Nigeria e negli ultimi due anni sono in servizio presso l’ufficio del Consolato canadese a Lagos, con il titolo diplomatico di Vice alto commissario (o console generale). Ci stiamo occupando dell’emergenza ebola, del terrorismo islamico e di altre cose delicate, che ci tengono certamente molto impegnati”.

Le piace il suo lavoro?
“Ho sempre pensato di fare le cose che mi portano gioia e soddisfazione nella vita. Se uno riesce a trovare qualcosa che rappresenta una sfida e che si ama, allora – io mi chiedo – è davvero un lavoro? Considero quello che faccio piuttosto una passione. È certo che rappresentare il proprio paese all’estero è uno dei più alti privilegi”.

Cosa non cambierebbe mai e cosa vorrebbe di diverso nella sua vita?
“Non cambierò mai le cose che i miei genitori mi hanno insegnato: con la dedizione, la passione e il sudore, si può ottenere tutto nella vita. E’ certo che tutti abbiamo delle difficolta nelle nostre vite. Però ogni aspetto negativo che è accaduto nella mia, mi aiuta a vedere le cose con altri occhi. Ogni cosa buona che mi è capitata, invece, mi permette esprimere gratitudine. Non cambierei nulla, neanche il male che, inevitabilmente, come tutti, anch’io ho dovuto sopportare”.

Torna spesso in paese?
“Due anni fa, volli sperimentare e gustare un Natale in Italia, e così ho portato mia moglie Andrea e i nostri due figli piccoli, Sonny e Vanessa, a Rionero. Come adolescente tornavo spesso in Italia, specie da ragazzo, in estate, per vedere i miei nonni. Ricordo l’estate in paese, con tanti giovani. Molti hanno avuto grande successo come dottori, avvocati, farmacisti e anche sindaci del paese. Quando ritorno, è sempre un onore per me rivederli. L’Italia è un paese da scoprire: ogni regione, ogni città, ogni paese ha qualcosa di unico e interessante da offrire. Considero l’Italia un Paese che stimola i nostri sensi. Quando mi trovo in Italia e soprattutto a Rionero, mi sento come in casa mia”.

Il console ci saluta con un grande abbraccio all’Italia e al ‘suo’ paese: “Si sta bene a Rionero. Si mangia bene, si respira aria buona, si dorme tranquilli e soprattutto ci si sente bene. Quando parto da Rionero e guardo nello specchietto retrovisore, mi viene sempre voglia di ritornare. Ci vediamo presto Rionero Sannitico, altitudine 1051 metri: alla prossima!”.

Vincenzo D’Amico

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