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Il Pd si prende tutto: la lotta, il governo, l’Italia e il Molise

CAMPOBASSO. Manuale breve di istruzioni per l’uso della politica locale e nazionale: le divisioni interne nuociono gravemente alla salute di un partito. Ma, attenzione: se questo partito registra oltre il 40% di consensi, non deve fare i conti con nessuna opposizione credibile e ha un leader che piace tanto alla gente, le divisioni diventano paradossalmente un punto di forza. Perché aiutano lo stesso ad occupare tutti gli spazi a disposizione: il consenso e il dissenso, la responsabilità del comando e quello della protesta.

E’ ciò che sta accadendo in queste ore al Partito democratico: il più convinto degli anti renziani ha sicuramente la tessera del Pd. La guerra se la stanno allegramente facendo in casa, non è però l’ennesima e logorante faida di quella sinistra italiana che si è sempre e malauguratamente ispirata a Tafazzi. Piuttosto, appare come una strategia (non sappiamo se volontaria) che tende ad occupare in toto il panorama politico e mediatico italiano: il Pd della Leopolda, il Pd della Cgil, il Pd dei giovani riformatori, il Pd di “Bella ciao”. Il Pd all’enessima potenza. E la destra? Non esiste, disintegrata. A parte l’altro Matteo, il Salvini leghista, che tra una gita in Corea del Nord e una comparsata televisiva, guadagna importanti percentuali a favore del suo movimento ma non di certo di una coalizione ormai smembrata e defunta.

Il Molise, come sempre, fa scuola: l’eterna rivalità tra Ruta e Frattura si sta rivelando piuttosto un valore aggiunto. Si odiano o si amano? Governano, punto. E tutto il resto (i superstiti di un centrodestra in bilico tra Michele Iorio e Massimo Romano) per ora è solo noia. Maledetta noia. Da questo monopolio emerge più di altre la figura enigmatica di Michele Petraroia. A volte sembra il più spaesato, in altre perfettamente a suo agio nel doppio ruolo di assessore al Lavoro e “sindacalista”. Libero di critricare le politiche del premier fiorentino e applicarle un’ora dopo. Tra un megafono e una cravatta, tutto ormai è lecito, tutto resta una banale questione interna. Hanno la forza di fare e disfare, guardare a Reagan e a Berlinguer comodamente dalla stessa poltrona, ovvero quella del potere. E a Roma come a Campobasso nessuno, al di là dei retroscena più avvincenti, ha forse davvero l’interesse a rompere questo incantesimo con una scissione tanto clamorosa quanto improbabile. Meglio la Democrazia Cristiana 2.0. Bisogna solo aspettare per scoprire l’effetto che fa.

AN

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