ISERNIA. Sono stati rinviati a giudizio gli isernini Giovanni “Johnny” Capone e Filippo Sparacino, esperti di armi, e Gabriele Giovannardi, della provincia di Firenze, specializzato nell’attività di disattivazione delle armi da guerra. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Isernia, Teresina Pepe, giunto appositamente da Campobasso per far fronte alla posizione di incompatibilità degli altri magistrati pentri. I tre imputati dovranno rispondere di ricettazione di armi comuni e da guerra provenienti dalla Slovenia e riciclaggio: per loro la prima udienza dibattimentale è prevista a maggio 2015. La vicenda risale al luglio 2011, quando la procura di Santa Maria Capua Vetere, nell’ambito dell’operazione ‘Skorpio’, chiese e ottenne cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere, eseguite dai carabinieri, per traffico illecito di armi. Oltre Isernia, furono interessate anche le province di Roma, Caserta, e Firenze. Duecentottanta i pezzi sequestrati all’epoca, tra i quali pistole, revolver, mitragliette, kalashnikov e carabine da guerra. Armi che dovevano essere distrutte ma che poi erano finite sul mercato nero, a disposizione anche della criminalità organizzata. Alcune di esse, una volta riassemblate da uno dei cinque arrestati all’epoca, finirono nel museo ‘Secondo Risorgimento’ di Rocchetta a Volturno. Capone e Sparacino infatti, in precedenza ai fatti contestati nel 2011, erano stati a capo dell’associazione che aveva dato vita al museo. Successivamente, nei confronti degli isernini fu stralciato il principale capo d’accusa e il fascicolo passò per competenza alla procura di Isernia. Assistiti dai legali Duilio Vigliotti di Isernia e Arturo Messere di Campobasso, i due imputati residenti nella provincia di Isernia hanno sempre respinto ogni addebito. In particolare, i legali hanno sempre sostenuto che le armi fossero destinate esclusivamente all’esposizione, attribuendo ai propri clienti una responsabilità assolutamente marginale nella vicenda. In particolare, l’acquisto delle armi riguardanti l’indagine sarebbe stato effettuato “in proprio e a titolo personale” dagli accusati, nella piena convinzione della legittima provenienza delle stesse e della loro conformità a norma. Solo successivamente le armi sono state donate dagli isernini al museo a fini espositivi, sempre nella legittima convinzione della regolarità delle stesse.