Renzi non è più invincibile, ma il centrodestra deve darsi una svegliata

ROMA. Matteo Renzi, un anno fa, sfruttò il trionfo delle Europee (oltre il 40%) per legittimare un governo che, di fatto, non era stato eletto da popolo ma dalle primarie del Pd. Dodici mesi dopo, non si può non dare quindi un valore politico alle Regionali, un altro test (anche se lui ha provato fino all’ultimo a negarlo) sul premier fiorentino e sul suo esecutivo.

Al di là dei governatori (5 a 2 per il centrosinistra), fa parecchio riflettere il riepologo nazionale dei partiti, perché oggi il Pd tosto e gagliardo del rottamatore vale la metà (23,7%). Un calo di consensi netto, pesante ed evidente, che non può certo essere liquidato attraverso la giustificazione delle “questioni locali”.

Un brusco ritorno alla realtà, reso meno amaro solo dal risultato dei contendenti: perché un centrodestra che vede dominare al suo interno la Lega di Salvini sembra ancora incapace di riportare al voto quella fetta di elettorato moderato (decisivo per una vittoria alle prossime politiche) che continua a disertare le urne. Forza Italia, con il suo 10,7%, non muore ma non risorge ed è costretta ora a fare i conti con l’altro Matteo, quello che in giro per l’Italia si prende ortaggi e valanghe di voti.

Il Pd di Renzi si è mostrato incapace (nonostante alcuni cenni di riforme di ampio respiro) a conquistare il “centro”, a Berlusconi conviene invece darsi una svegliata e rivoluzionare una destra che deve avere uomini e contenuti capaci di arrivare dove non arriva – per ragioni territoriali e di linguaggio – l’alleato Salvini, forse il trionfatore vero delle Regionali 2015.

Insomma, la partita torna ad essere aperta e politicamente accattivante: un centrodestra “repubblicano” (unito, competitivo e con facce nuove)  può tranquillamente sconfiggere Renzi, non più invicibile neo padre della patria. Ma è una corsa contro il tempo: visto l’andazzo, le prossime elezioni potrebbero tenersi ben prima del 2018.

Jones