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Isernia, tutti gli errori del centrosinistra: ecco perché si è chiusa l’era Brasiello

L’EDITORIALE 

di Pasquale Bartolomeo

ISERNIA. A poco più di una settimana dalla fine – ingloriosa – dell’amministrazione Brasiello, vogliamo aiutare la città di Isernia ad avere un quadro più chiaro di quanto è realmente accaduto a Palazzo San Francesco. Tre commissari in quattro anni, si è detto. Pd dilaniato da una ‘guerra per bande’, si è semplificato. Amministratori locali pugnalati alle spalle come novellini, si è raccontato in giro. Dissidenti ‘giuda’, si è sbandierato da più parti. A modesto parere di chi scrive, nulla di tutto questo.

I problemi di un’amministrazione già ‘menomata’ dalla nascita hanno radici molto più profonde, che si è preferito far finta di non vedere, nascondendole così alla vista degli elettori e dei cittadini più distratti. Ma non dei nostri.

IL PECCATO ORIGINALE. Tante sono le cause che hanno fatto implodere la maggioranza. A cominciare dalla triste vicenda del programma elettorale, copiato di sana pianta a Camaiore, comune costiero della Versilia, più grande e facoltoso di Isernia. La vicenda, si ricorderà, venne alla luce nell’ultimo giorno di campagna elettorale, nel maggio 2013. Non bastò a spostare voti più di tanto, ma fece emergere le mille contraddizioni e lacune della sgangherata maggioranza di centrosinistra che si proponeva – senza riuscirci mai veramente – di governare la città di Isernia. Il peccato originale, a nostro avviso, fu proprio quello: se manca un vero programma, non possono esserci progettualità, sviluppo, coesione. Si naviga a vista, con fughe in avanti di questo o quell’assessore, più o meno intraprendente e volenteroso, ma che da solo non può bastare a risollevare le sorti di una città.

Si dirà: ma anche i dissidenti avevano sottoscritto quel programma, fidandosi del sindaco e di quanti gli avevano fatto vincere le Primarie, per quanto decise a tavolino molto prima della sceneggiata del voto. Vero anche questo, ma la frittata era ormai fatta: nessuno sapeva nulla – così è stato detto – prima che si scoprisse il copia e incolla, finito anche sui giornali nazionali. E, a quel punto, era troppo tardi per tirarsi indietro.

LA GIUNTA ‘MONCA’. Dalla mancanza di un’idea globale di come amministrare, poi, sono discesi a cascata tutti gli altri nodi irrisolti. Un Pd privo della rappresentanza renziana in Giunta, di cui alcuni dissenti sarebbero stati espressione, qualora presi in considerazione. E un sindaco che, evitando il ballottaggio per meno di 100 voti, aveva ‘tirato’ meno delle liste, capaci invece di sfondare agevolmente la soglia del 50 per cento e andare ben oltre. Brasiello ‘prigioniero’ della sua maggioranza, dunque, che andava perciò accontentata a dovere. E invece no. Il mancato rispetto dei patti elettorali nei confronti delle due liste sostenitrici – Sel e Polo di centro – escluse dall’esecutivo in prima battuta e mai realmente considerate, in seguito, per incarichi degni di questo nome – è qualcosa di politicamente inspiegabile, che dimostra tutta l’inesperienza del sindaco e la faciloneria di quanti lo hanno consigliato a livello politico.

La tensione creatasi fin dal principio, dunque, non ha aiutato una Giunta ‘monca’, dimostratati fin da subito – è stato lo stesso ex presidente del Consiglio Franco Capone a confermarlo, per quanto egli abbia parlato di problemi solo in fase iniziale – di lavorare collegialmente. Ognuno tirava acqua al suo mulino, con il risultato di non dare mai l’idea di stare remando tutti nella stessa direzione. Tranne qualche buona prova individuale, seppur episodica, è dunque mancato il gioco di squadra, tra invidie e rancori personali e veti incrociati di partito. Con il sindaco, neanche a dirlo, dimostratosi troppo debole nel dirigere l’orchestra e nel tenere a bada le diverse anime rappresentate all’interno dell’esecutivo. Quasi tutti i consiglieri, nel tempo, si sono dimostrati insofferenti verso la Giunta o parte di essa, lamentando scarso coinvolgimento e mancanza di condivisione.

LA CRISI DI GENNAIO. Fino a gennaio, quando è scoppiata la grana inaspettata dei dieci dissidenti. I quali, con una mossa a sorpresa, non si limitarono più a borbottare nei bar o sui social network, ma con una prova di forza dirompente bocciarono il sindaco e il suo modus operandi in Consiglio comunale, leggendo un documento anticamera della sfiducia in cui invocavano un’inversione di tendenza immediata, scambiata erroneamente per una rivendicazione di poltrone. Poltrone che non sono mai arrivate, forse perché mai chieste esplicitamente e, in alcuni casi, nemmeno mai volute, visti gli esiti.

Il primo cittadino, anche allora, sottovalutò la questione. Dopo giorni di tira e molla e accuse palesate verso la segretaria regionale del Pd Micaela Fanelli, cambiò tutto per non cambiare niente. Parlò infatti, di gruppi di lavoro, promise maggiore coinvolgimento dei consiglieri ‘ribelli’. Non azzerò la Giunta, ma le deleghe: un falso rimescolamento di carte, che portò principalmente l’assessore Cosmo Galasso a ‘spogliarsi’ di parte delle sue competenze, facendogli vestire i panni dell’agnello sacrificale, ma senza mai premiare veramente nessuno. Una mossa inspiegabile di Brasiello – ancora una volta – che finì solo per prolungare la vita a quello che era già un malato terminale.

GLI ASSESSORI ESTERNI. Se mesi dopo, un’altra grottesca vicenda: le nomine a sorpresa degli assessori esterni Ferdinando Veneziale e Gaia Di Nezza. Nominati prima, congelati dopo, ‘annullati’ alfine. Un continuo tentennare a dispetto delle proprie prerogative, avviandosi verso una parabola discendente tradottasi prima in una figuraccia – verso i diretti interessati, verso la città, verso la maggioranza tutta; verso i fedelissimi, che avrebbero avuto ragione a rivendicare per sé un posto al sole, e verso i dissidenti, che tacquero sui nomi, contestando solo il metodo, ma gradirono il cambio di passo, vedendosi finalmente rappresentati in giunta dopo sei mesi di battaglie a viso aperto, rimaste lettera morta – e poi in una carriera politica stroncata ad appena metà mandato.

IL RUOLO DEL PD. Nel principale partito di maggioranza, oggi, a babbo morto, si parla di epurazioni e di provvedimenti disciplinari. Le domande da farsi, da parte di parlamentari e dirigenti, sono queste: il sindaco era veramente all’altezza del compito? Se sì, perché non si è mai spesa una parola in suo favore, nei giorni più delicati della crisi, quando i numeri sul bilancio erano ormai venuti a mancare? Se non lo era, perché non si è fatto nulla per aiutarlo, lasciandolo solo in balia del governatore Frattura, che gli ha fatto accettare tutto l’inaccettabile senza che nessuno muovesse un dito per spiegargli che certe scelte (soprattutto mancate) mettevano in gioco gli interessi di Isernia? Ancora: qual è la linea ufficiale del Pd? I Dem volevano o meno che il sindaco Brasiello andasse avanti? Quando il 9 settembre ben sei esponenti di maggioranza (di cui tre di area Dem, metà dei rappresentati eletti a Palazzo San Francesco) espressero la loro contrarietà ad andare avanti, perché nessuno ha scritto o detto una parola a sostegno dell’amministrazione comunale pentra? Più esplicitamente: il Pd stava con i fedelissimi Melaragno, Sardelli e Angelaccio o con i dissidenti Scarabeo, Monaco e Bontempo? Qual era la linea di partito, se ce n’era una? Cosa pensavano e cosa pensano oggi la segreteria cittadina e quella provinciale del partito, chiuse da giorni nel mutismo più assoluto? Almeno la Fanelli ha avuto la faccia tosta di derubricare la caduta del Comune di Isernia come una semplice questione localistica, quasi si trattasse della chiusura della bocciofila del circolo per anziani del Borneo, con tutto il rispetto per i pensionati in questione. Una posizione ufficiale incondivisibile in toto, a nostro giudizio, ma pur sempre una posizione. Possibile che i dirigenti di Isernia abbiano sottovalutato il problema al punto da ritenere che, in cambio di qualche poltrona, i dissidenti avrebbero fatto una piroetta, indossato parrucca e naso rosso e, con disinvoltura, sarebbero tornati all’ovile?

Domande cui non è stata data risposta semplicemente per una ragione: il Pd, a livello cittadino, provinciale e regionale, una posizione univoca non ce l’aveva e non ce l’ha, dilaniato com’è tra le correnti. È un’entità confusa e priva di autorevolezza, abile a raccattare voti, ma incapace di esprimere un’idea precisa e coerente di gestione della res publica. E a farne le spese è stato il povero Brasiello, vittima inconsapevole di una classe politica che lo ha fatto prima cuocere a fuoco lento per poi lasciarlo sulla graticola fino a carbonizzarlo.

SIEDO, DUNQUE ESISTO. I dissidenti, dunque, hanno staccato la spina. Hanno fatto bene? Non sta a noi dirlo, sarà la storia a decretarlo. Il neo commissario prefettizio Vittorio Saladino avrà il suo bel da fare e dovrà cercare di mettere a posto i conti di un Comune disastrato e tartassato. Si è agitato tanto lo spettro del commissario, parlando di tasse alle stelle, piscina chiusa e troppi immigrati in arrivo nel centro della città. Peccato che le tasse locali siano già le più alte del Molise per volontà dell’amministrazione caduta; che la piscina sia già chiusa e che un pesante ricorso amministrativo sia pendente sulla stessa, con pronuncia in dirittura d’arrivo; e che, sugli immigrati, il centrosinistra o presunto tale non abbia mai avuto una posizione netta, neanche stavolta.

Ancora: i dissidenti saranno stati anche folli, come detto da Brasiello, ma erano lucidissimi. Altrimenti, non ce lo leva di testa nessuno, a una poltrona, pur insignificante che sia, non si rinuncia. Anche gratis. Ma questo, per chi fa politica da decenni, ha vissuto la Prima Repubblica sulla propria pelle e occupato tutte le poltrone che lo scibile umano ricordi, è qualcosa di politicamente e umanamente incomprensibile: siedo (ovunque), dunque esisto. Non ce ne voglia nessuno, ma sono due mondi inconciliabili. Due rette parallele, che mai si incontrano.

Certamente anche i dissidenti una colpa ce l’hanno: aver seppellito il centrosinistra sotto un cumulo di macerie, dimostrandosi incapaci di coesistere al governo. A Isernia – ma qui i fatti potrebbero facilmente smentirci – la nostra previsione è che il centrodestra abbia praticamente già vinto le prossime elezioni, se saprà ritrovare unità.

DIFETTO DI COMUNICAZIONE. Per dirla con le parole del dissidente Ilario Di Placido, Brasiello è senza dubbio una bravissima persona. Ma Isernia aveva e ha bisogno di risposte. Per questo, lui e i suoi fedelissimi hanno pagato l’essere troppo appannati dal proprio ego. Una continua autodifesa, mai una sana autocritica, mai un interrogativo sul perché ci fossero frizioni così forti all’interno della propria squadra, mai un’attenzione reale verso i bisogni della città, rimasti troppo spesso inascoltati come sull’imbarazzante gestione della piscina, passata da 1.200 iscritti a meno di 50 nel silenzio generale. Per non parlare della promessa pubblica di riapertura dell’università nel centro storico: tutti insieme appassionatamente, Brasiello, Leva, Ruta, Frattura e il rettore Palmieri – che interrogheremo in merito molto presto – si sono impegnati verso un’intera città, che ha perso, speriamo pro tempore, anche il suo ultimo avamposto di modernità.

La città è praticamente nel limbo amministrativo da maggio 2013: poco o nulla si è fatto. E si ha l’ardire di sostenere che all’amministrazione non è stato dato tempo sufficiente, che proprio adesso si intravedevano segnali di ripresa. Ma quali? Chi scrive, senza presunzione, crede di avere un tantino il polso della situazione, stando in mezzo alla gente quasi quanto un candidato consigliere comunale, ma senza chiedere voti in cambio. E la percezione comune è che non ci fosse, neanche ora, alcun bagliore in fondo al tunnel.

I MISTERI DEL BILANCIO DI PREVISIONE. Si è detto: ci saranno cambiamenti positivi, una volta approvato il bilancio. Ma stiamo ancora aspettando di avere ragguagli su una questione spinosa come poche: secondo indiscrezioni il Comune potrebbe aver perso anche qualcosa come 3-4 milioni di euro relativi ai tributi locali dell’anno 2009 (spazzatura, tasse sulla casa e acqua). Tali somme potrebbero essere cadute in prescrizione e dunque non più esigibilidopo non aver effettuato il recupero a causa del mancato rinnovo del mandato a Esattorie spa. Cosa accadrebbe, se la notizia fosse fondata?

La risposta la darà il commissario. Perché dalla vecchia amministrazione mai nessuno ha dato spiegazioni. Nulla. Ci si è difesi sostenendodi aver lavorato tanto, ma di non aver messo i manifesti. Un altro errore, imperdonabile, l’ennesimo in un’epoca ‘social’ dove tutto è condivisione e conoscenza comune. E gli errori si pagano, salati.

La speranza, archiviata questa stagione amministrativa deludente e ormai appartenente al passato, è che sia ancora possibile uscire dalla sabbie mobili. Rimboccandosi le maniche da adesso. Ma sarà dura, per chiunque.

 

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