Il 20 novembre del 1900, Paolo Iammarino, un mese dopo l’intervento eseguito dal prof. D’Antona, su insistenza dello stesso e della sua equipe, tornava in Campobasso. “Venuto perciò fra i suoi e proprio quando nell’animo dell’angosciata famiglia rinasceva la speranza di conservare una vita a lei tanto cara, colto improvvisamente da febbre, Paolo spirava in poche ore fra spasimi atroci”, come si legge nel verbale di di autopsia, custodito presso l’Archivio di Stato di Isernia, (A.S.I., Registro Generale delle Cause Penali, busta n. 367, fasc. n. 2).
Il Pietralata ci riferiva che i parenti di Iammarino, fortemente dubbiosi dell’operato del luminare D’Antona, il quale già in laparotomia aveva diagnosticato al paziente un carcinoma diffusissimo, chiedevano l’intervento di un distinto giovane medico campobassano, il dottor Altobello, per eseguire sul corpo del loro congiunto l’autopsia; dalla quale si evinceva “il fegato era in condizioni quasi normali, la cistifelia per opera d’arte, ossia per mano d’uomo, era stata spostata dal proprio sito e aderente alle pareti addominali, c’era molto liquido giallo con pochi fiocchi fibrinosi, e vi era un batuffolo di garza, la quale distesa misurò non meno di cm. 0,75x 0,45”.
La garza, sempre secondo il verbale succitato d’autopsia, era stata adoperata dal prof. D’Antona in più batuffoli, sia per detergere la ferita, sia per restringere il campo operativo, sia per contenere e comprimere durante l’intervento gli organi e le viscere sottostanti al taglio occorso. E, non essendo stati ritirati dall’operatore tutti i batuffoli impiegati man mano che si procedeva alla sutura dell’incisione eseguita, ne restava uno chiuso nell’addome, fra i visceri del giovane Iammarino, “origine di ascessi purolenti, centro d’infezione e causa di peritonite”. Il che spiegherebbe la febbre improvvisa, breve e fatale, prodotta da assorbimento di materiali organici alterati e corrotti, l’avvelenamento del sangue con la conseguente morte del giovane paziente.
Su richiesta dei parenti del Iammarino, che accusavano il prof. D’Antona di negligenza e imperizia ancora più gravi del previsto, poiché provocate da una mano di riconosciuta superiorità tecnica e scientifica in materia chirurgica, si apriva un processo che ebbe alterne e contraddittorie vicende e che vide comparire, in qualità di periti, alcuni tra i più illustri nomi della medicina del tempo. Il Barone di Pietralata, dal canto suo, dalle pagine de ‘Il Battagliere Indipendente’, sollecitava a viva voce e a più riprese che il delitto non restasse impunito a titolo di inesistenza di reato, o quanto meno di insufficienza di prove o “di non meno deplorevoli compiacenze di giudicanti verso non comun giudicabile” , data l’elevata posizione parlamentare del prof. D’Antona, già senatore del Regno D’Italia durante il governo Giolitti. Anzi, il Pietralata chiedeva insistentemente – dalle pagine del succitato giornale – che le responsabilità morali del chirurgo fossero accresciute proporzionatamente nel campo morale, e che “gli alti Suoi meriti più che motivo a discriminanti o ad attenuanti, nella fattispecie insorgano contro di Lui come circostanze affatto aggravanti”, esplicitando chiaramente i suoi timori: che, in un procedimento penale, come quello incoato contro il D’Antona, sarebbero potuti confluire episodi di correità e di complicità di corporazione, tesi a fuorviare la giustizia nel proprio cammino, perché qualunque magistrato si inchinerebbe dinanzi ad “una toga senatoria, come omaggio all’imperante plutocrazia […], perché i nostri Tribunali sono impacciati in grettezze medievali, per cui spesso si scambian le parti l’imputato, il reo, la vittima”.
L’elemento a mio avviso più interessante del suddetto articolo è il richiamo che il Barone di Pietralata faceva al decesso del giovane Iammarino per cause separate dalla malattia pregressa, che configuravano – a suo stesso dire – l’omicidio doloso e colposo da parte del prof. D’Antona, tanto che il Pietralata si riproponeva di vagliarne le cause e le ipotesi in un articolo successivo a questo contemplato, datato 20 dicembre 1900.




