HomeNotizieCRONACAIsernia, molestie nella diocesi: Giorgio a rapporto dalle autorità ecclesiastiche

Isernia, molestie nella diocesi: Giorgio a rapporto dalle autorità ecclesiastiche

L’INTERVISTA/ Il giovane che ha denunciato un prete per abusi sarà chiamato a testimoniare nel procedimento canonico avviato dal vescovo Cibotti: “Non voglio infangare la Chiesa, ma contribuire a renderla più pulita”. Sull’apertura del presule: “Non so quanto sia spontanea, ma l’apprezzo”


di Alessandra Decini

ISERNIA. Non cerca vendetta, ma giustizia. Il suo non vuole essere un tentativo di infangare la Chiesa, piuttosto un’azione per contribuire a renderla più pulita.

Continua la denuncia di Giorgio, il ragazzo polacco che ha raccontato di aver subito abusi sessuali da parte di un parroco, in servizio nell’Isernino, al quale era affidato e con il quale è quindi cresciuto.

Contattato da isNews, il giovane, oggi 34enne, non solo ha ripercorso il suo inferno all’interno della canonica, ma ha spiegato la ‘ratio’ della sua battaglia attuale: “Perché non accada più ad altri ciò che è successo a me”. E poi anticipa di essere vicino ad un altro risultato: dopo aver ottenuto l’interessamento da parte della Curia pentra, con il vescovo Camillo Cibotti che ha vergato una lettera con la quale – oltre a chiedere perdono alla vittima – ‘apre’ il dialogo a tutte le persone in difficoltà, Giorgio sarà verosimilmente ascoltato a breve dalle autorità ecclesiastiche. Il procedimento canonico, come riferito anche da monsignor Cibotti, sarebbe dunque avviato.   

Giorgio, cosa è scattato in te al punto da spingerti a denunciare?

“Con la nascita mia figlia è cresciuto in me un senso di protezione. E ho pensato che quanto è accaduto a me non dovesse succedere ad altri bambini. Premetto però che non è stato facile. Ci sono voluti anni di psicoterapia e ipnosi per riuscire ad elaborare quanto accaduto e il mio dolore. Poi, grazie all’aiuto di persone che hanno saputo sostenermi, come il mio avvocato Sergio Cavaliere e alcuni giornalisti, sono riuscito a tirare tutto fuori”.

In passato avevi già tentato di raccontare gli abusi subiti?

“Sì, ma a persone dell’ambito ecclesiastico, perché erano quelle che avevo intorno e di cui mi fidavo. Però nessuno mi ha mai creduto. Dicevano che le mie erano visioni del demonio, solo illusioni. All’epoca volevo fare qualcosa. Ho pensato di scappare. Ma in fondo ero un adolescente, ero malleabile e totalmente sotto il loro controllo. Don M. è un uomo intelligente e sa come comportarsi. Anche se penso non si renda davvero conto di cosa mi ha fatto”.

Quale iter hai seguito appena hai deciso di parlare? La strada mediatica non è certo stata la prima pista battuta.

“La prima cosa che ho fatto, di concerto con il mio legale, è stata denunciare tutto ai carabinieri, producendo tutte le prove che avevo a mia disposizione. Subito dopo, era all’incirca giugno, l’avvocato Cavaliere ha inviato una raccomandata in Curia a Isernia. Da allora, fino a dicembre scorso, non si è saputo nulla. Mi aspettavo mi chiamassero per sentire la mia versione dei fatti. Di fronte al silenzio, ho deciso di utilizzare i social per fare venire a galla la verità”.

Hai così ottenuto un primo risultato. Come interpreti l’apertura mostrata dal vescovo di Isernia? 

“Non sono convinto sia stata del tutto spontanea, ma appunto dettata dal clamore  suscitato sulla vicenda, magari dal timore che vengano fuori i nomi. Però in ogni caso l’apprezzo. Se con lui si può parlare, allora parliamone”.

E ora a cosa punti? Qual è il tuo obiettivo?

“Ci tengo a precisare che io non ho chiesto risarcimenti. Il mio non è un attacco alla Chiesa, anzi. Io voglio aiutarli a disfarsi di questo problema, che purtroppo non è solo mio. Questo è il mio scopo. Chiaramente, nel mondo reale una persona che commette abusi su un minore va punita e curata. Questa vicenda non deve cadere nel nulla. Temo che, essendo passati troppi anni, sia difficile a causa dei termini di prescrizione giungere ad un’azione incisiva da parte della magistratura, però mi aspetto che magari delle indagini possano servire a spronare il Vaticano a prendere provvedimenti e non ad insabbiare, a offuscare tutto”.

Portando la tua storia alla luce è possibile che anche altri ragazzi, nel caso ce ne fossero, possano decidere di denunciare e magari attualizzare il reato. Ti aspetti questo?

“Credo sia difficile. Mi ci sono voluti troppi anni per trovare il coraggio di parlare. E ho attraversato momenti bui: ho avuto problemi di dipendenze, di sessualità. E forse ne sono uscito, oltre che con l’aiuto di specialisti, grazie al mio carattere un po’ forte. Ma non per tutti è così. Non mi aspetto, quindi, che un ragazzino, sentendo me oggi, riesca a raccontare subito i suoi problemi. Però è comunque una possibilità”.

Come hanno reagito i tuoi familiari, che ti avevano affidato a don M., quando hanno appreso i fatti da te denunciati?

“Mia madre si è arrabbiata tantissimo. Voleva quasi farsi giustizia da sé. La mia è una famiglia molto cattolica e quando questo prete è entrato in casa nostra per lei è stato come una benedizione. E lo era anche per me. Purtroppo, ho avuto un padre con problemi di alcol che mi picchiava e la dolcezza di quel sacerdote per me era positiva. All’inizio i suoi comportamenti erano normali, o almeno così sembravano. Cercava il contatto fisico con me attraverso il gioco, tenendomi in braccio dinanzi al volante dell’auto. Ma io ero un bambino e non percepivo allora della malizia. Ero solo felice di poter guidare. Poi in Italia le cose sono cambiate e le molestie sono diventate esplicite, come ormai tutti sanno”.

Oggi le cose vanno meglio, cosa ti senti di dire?

“Nonostante tutto, per me è andata bene. Mi ritengo fortunato: ho una famiglia, una figlia, un lavoro. Ma purtroppo in tanti non ce la fanno e non ce l’hanno fatta. Voglio lanciare un messaggio ai genitori: non lasciate andare i figli fuori casa, se non c’è un reale bisogno e se non sono abbastanza maturi per difendersi dai pericoli”.

   

 

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