Primo ad intervenire, in base a tali spunti, l’avvocato Mariano Prencipe, membro della Commissione carceri del Consiglio nazionale forense. Questi ha evidenziato, in riferimento al contratto di governo ‘giallo-verde’, ribattezzato ironicamente carioca, il problema della riduzione del ricorso a misure alternative al cercare che, secondo i dati, evitano il ritorno a delinquere. “Non è l’aumento delle pene – ha affermato con forza – che evita il reato. Rispetto agli altri paesi abbiamo addirittura più carcerati, quasi 60mila”. Di qui l’esempio eloquente: “Hanno introdotto il reato di omicidio stradale, ma con l’inasprimento delle pene non sono certo diminuiti gli incidenti”. Sul punto ha posto l’accento sulla bontà di alcune misure introdotte dalla riforma della giustizia avviata dal governo di centrosinistra, pur ‘condannando’ l’allungamento eccessivo (fino a 27 anni) dei tempi di prescrizione per alcuni reati: “Una persona non può trascorrere un’intera vita a difendersi – ha osservato Prencipe – Sfido chiunque a dire di essere lo stesso di trent’anni prima”.
A seguire l’intervento dell’avvocato Danilo Leva, già membro della Commissione giustizia presso la Camera dei deputati. “Il contratto – ha esordito – riguarda i privati e non la pubblica amministrazione e ciò la dice lunga sul governo che si appresta a nascere. La pena, in un’ottica privatistica, non ha più una funzione rieducativa e preventiva, ma diventa vendetta e repressione. Il contratto, per quanto riguarda la giustizia, ci fa fare dunque un passo indietro. C’è addirittura la figura dell’agente provocatore – ha proseguito Leva – Ma la corruzione, ad esempio, ha bisogno di altri strumenti e il diritto penale non deve essere piegato a logiche del consenso. Inoltre, se i processi non si celebrano in tempi ragionevoli, la responsabilità è dello Stato. Mentre, la prescrizione è un istituto a presidio della civiltà di un paese. O meglio, la civiltà di un paese si misura proprio con il suo grado di giustizia”. Di qui la proposta: “Servono maggiori investimenti – ha concluso – perché le riforme a costo zero non sono efficaci. Dovrebbero aumentare gli agenti, i magistrati e gli organici dei tribunali in genere. C’è, purtroppo, carenza di mezzi quando, invece, grazie alla tecnologia, potrebbero essere meglio combattuti molti reati”.
L’avvocato Michele Capano, già tesoriere dei Radicali italiani, ha infine riproposto alcuni aspetti della Riforma Orlando, approvata nel giugno del 2017, che ha prodotto modifiche al codice penale, non disdegnando numerose digressioni storiche, dai referendum del 1987 agli eventi del 1992, agognando il compimento di una cosiddetta “liberaldemocrazia”.
L’evento si è, poi, concluso con un dibattito sui processi mediatici, dunque sul ruolo dell’informazione, con appuntamento a nuove occasioni di confronto.
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