Uno dei concerti più attesi della manifestazione segna un grande ritorno della band statunitense, che dimostra di avere ancora tantissimo da dire. GUARDA IL VIDEO
dal nostro inviato Pietro Ranieri
FIRENZE. Sono le otto spaccate quando il maxischermo posto al centro del palco nell’Ippodromo del Visarno si illumina di un logo familiare. Puntualità ineccepibile, a riconferma della grande organizzazione dietro questa edizione del Firenze Rocks. Un enorme carro armato inizia a sparare ritmicamente, quasi a preannunciare quell’’appetito per la distruzione’ che di lì a poco la farà da padrone. Poi, la scena esplode. Sale sul palco Slash. Le chitarre impazzano, ataviche, quasi tribali, a ritmo di ‘It’s so easy’. E poi la voce di Axl Rose, dritta alla cuore, graffiante come ai vecchi tempi. I Gun’s N’ Roses sono sul palco, pronti ancora una volta a fare la storia.
E c’è veramente da ammetterlo: i cinque – ormai rodati da un tour, ‘Not in this lifetime’, che dura da due anni e ha portato la band a girare per tutto il mondo – sul palco sono dei puri e semplici animali da scena pur accusando, a volte, il peso dell’età. Slash rimane il sex symbol di sempre, in forma invidiabile come del resto il buon vecchio Duff, e lo stile immortale di Axl sembra davvero non tramontare mai. Ma le conferme arrivano quando parte ‘Mr. Brownstone’: tutto il pubblico ha finalmente chiaro che sul palco ci sono i Guns, quelli veri, che hanno segnato e per certi versi chiuso l’epoca del grande rock. Non tutto però è rose e fiori; la chimica sul palco è quella di sempre e quando partono i brani più storici il sound è esattamente quello che si aspetta, ma le tre ore e passa di concerto sbavano in un’ora abbondante di pezzi mosci e blandi – principalmente tratti da ‘Chinese Democracy’ e dagli album solisti dei vari membri – che oltre a castrare l’energia dell’esecuzione tolgono anche corpo e caratura alla voce di Axl: non è possibile passare da una ‘Welcome to the Jungle’ che toglie il fiato a una ‘Better’ dove l’equalizzazione e lo stile vocale sembrano quelli di un bambino rauco.
Tolta questa nota decisamente negativa, le restanti due ore sono uno spettacolo per occhi e udito. I maxischermi laterali e l’amplificazione possente consentono agli oltre ottantamila convenuti di godersi il concerto da ogni parte dell’Ippodromo, e le esecuzioni dal vivo dei classici sono tutte assolutamente di livello superiore – esclusa, per il gusto di chi scrive, solo ‘November rain’: da ‘You could be mine’, a ‘I used to love her’, a ‘Sweet child o’ mine’ passando per ‘Patience’ e l’immancabile ‘Knockin’ on heavens’ door’, senza trascurare le citazioni e gli omaggi come l’ottima ‘Black hole sun’ dedicata al recentemente scomparso Chris Cornell, o ‘Slyther’ dei Velvet Revolver – la band dove militavano Slash e Duff nei primi anni Duemila. Alla terza ora di concerto la voce di Axl comincia un po’ a calare, ma la scaletta è organizzata con sapienza per consentire al cantante di non affaticarsi inutilmente e conservare le ultime cartucce per un’incredibile ‘Paradise City’ in chiusura, manifesto della band e dell’anima del rock più vero, sincero come il sesso, gli amici e la voglia di superare i limiti. E almeno in questo, i Guns ci dimostrano ancora una volta che a quasi sessant’anni “limite” è davvero solo una parola.
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