Categories: CULTURA & SPETTACOLI

Te Absolvo: dolori, ingenuità e ipocrisie di un ruolo troppo pesante

Presentato a Isernia il film di Carlo Benso, un viaggio nelle contraddizioni e contrapposizioni tra uomini e aspettative sociali: la recensione di isNews. GUARDA LA VIDEOINTERVISTA


di Pietro Ranieri

ISERNIA. Bisogna dare un grande merito al Cinema Lumière di Isernia: spesso e volentieri ritaglia nella sua programmazione mainstream spazi per film e produzioni più piccole, indipendenti, magari tutte italiane, spazi che è difficile trovare altrove e che impreziosiscono notevolmente l’offerta culturale della città.

Ed esattamente questo è accaduto ieri sera, quando è stato presentato il film ‘Te Absolvo’. Produzione indipendente di Movie Factory, è un dramma dalle sfumature noir d’autore, con un grande cast: Toni Garrani – anche coautore, presente in sala con il regista e sceneggiatore Carlo Benso – Igor Mattei, Karolina Cernic e Fabio Fazi. È stato realizzato interamente in Piemonte, con un profondo lavoro con e nella comunità, e sta facendo davvero il giro del mondo dei festival cinematografici: da Benevento a Taranto, dalla Francia a Los Angeles, come pure di molte sale italiane, da nord a sud.

Le domande alla base di questo lavoro sono semplici, quasi quanto sono difficili le risposte: possiamo davvero perdonare? Quanto ci costa essere noi stessi fino in fondo? Qual è il peso vero delle nostre responsabilità? E come si risolve il conflitto tra l’uomo che si è e il ruolo che si occupa? È interessante il commento del vescovo di Casale Monferrato, dove si è girato il film, terra natale di Benso. Alla lettura della sceneggiatura, disse: “Beh, i preti non ne escono bene. Ma questo è un film che parla prima di tutto di uomini”. Tutta la vicenda si snoda sulla colpa di don Andrea, parroco di provincia che ha avuto una bambina con una donna che ama. Questo non ha scosso la sua vocazione, anzi egli ritiene di non aver fatto nulla di davvero sbagliato: ama una persona, ha messo al mondo una nuova vita. Ma la Chiesa non è ugualmente d’accordo, e invia don Paolo – un giovane prelato – a sostituirlo nella sua parrocchia che ormai gli si è rivoltata contro. E don Andrea dovrà confrontarsi con quelle che sono le sue responsabilità vere, e con la rete di confortanti bugie che ha continuato a ripetersi per non crollare. Sul conflitto tra i due personaggi, che diventa in qualche modo anche generazionale oltre che ideologico, si costruisce tutta la tensione drammatica del testo che, a dispetto delle mie aspettative iniziali, è sorprendentemente buono ed efficace. Don Paolo fa da contraltare a don Andrea, ma ne è anche lo specchio e la sua versione più ‘pura’: Andrea è il passato, Paolo è il presente, la piccola Costanza il futuro, in questo gioco di luci e ombre che si snoda nella ragnatela delle piccole ipocrisie quotidiane, vissute e interiorizzate finché si trasformano in realtà. Supportata da una regia moderna e coinvolgente, la vicenda si muove tenendo lo spettatore sul filo del rasoio, in perenne tensione tra la maschera del superficiale e il dolore che si nasconde dietro questa, una visione quasi lovecraftiana della provincia italiana con le sue idiosincrasie, le sue superstizioni, le sue piccole malvagità e grettezze quotidiane, nascoste dall’apparenza di una moralità falsa, a volte costruita ad arte, a volte obbligata, a volte sincera.

L’invito sotteso è di continuare a sperare. Uccidere la speranza, ci ricorda don Andrea, è il peccato più grande di tutti. E di fronte a questi lavori, e alla forma mentis che li accompagna, anche la disillusione dei peggiori cinici può venire ben ripagata. Speranza che, ci ha anticipato Benso, presto coinvolgerà anche altre zone d’Italia: è in arrivo infatti il progetto ‘Antigone’, nuovo lungometraggio che nel suo cammino ha incontrato i territori e le qualità del Molise e desidera trasformare la regione in protagonista attiva.

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Pietro

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