I francesi, appunto, Lvmh di Bernard Arnault (nella foto, ndr) su tutti, che ha ‘in portafogli’ marchi come Bulgari, Fendi, Givenchy, Kenzo, Loro Piana e Louis Vuitton. Come si fa a diventare così grandi?
Ci sono tuttavia eccellenze italiane che resistono e non si vendono. Come Prada o Armani.
Non solo i francesi, tuttavia, fanno ‘shopping’ in Italia. Ricordo l’emiro del Qatar che acquistò Valentino a un prezzo di svendita, quasi. Ma questa ‘emorragia’ non si può fermare in nessun modo?
“Non credo. La ricchezza si è spostata in Oriente, in Cina, nei paesi arabi e mediorientali. Se si analizzano questi fenomeni non nel corso degli ultimi 30 anni, ma di 300, si vedrà che la ricchezza si è sempre spostata. Trenta anni fa la Cina era povera, all’apparenza, e noi eravamo il mondo occidentale ricco. Oggi la Cina ha partecipazioni in tutto. È una questione di capitali e numeri. Dove ci sono i soldi ci si muove. È una potenza economica troppo più grande rispetto a quelle che possono essere le nostre capacità. C’è da dire, però, che tutte le aziende acquistate da capitali esteri hanno mantenuto la propria italianità: chi acquista l’azienda italiana non è che la porta a Parigi o a Dubai, la lascia lì. Questo vuol dire che viene apprezzato il made in Italy e il nostro modo di fare il prodotto. Anche se il capitale viene da fuori, le fabbriche stanno in Italia, si pagano le tasse qui, a livello pratico il danno economico non c’è, anzi: l’arrivo di un capitale che sviluppa può portare all’assunzione di nuove persone. Quello che dispiace è che purtroppo, ma non è colpa di nessuno, si perde la titolarità delle aziende. Però lancio una provocazione, a livello imprenditoriale e speculativo”.
Dica pure.
“Ragioniamo per assurdo e poniamo che tra cinque anni Modaimpresa diventi una struttura importante a livello internazionale. Arriva in Molise un investitore straniero e mette sul tavolo un valore venti volte superiore a quello effettivo dell’impresa. Se io la vendo, ho fatto business. Con questo voglio dire che non ci si deve affezionare troppo a ciò che si crea: chi fa impresa deve creare valore e passare all’incasso. Vale per chi investe in borsa e per chi crea aziende. Io penso che l’imprenditore bravo è quello che costruisce, crea valore e vende a un prezzo alto. Non c’è da scandalizzarsi se le aziende vengono vendute, quando i capitali stranieri arrivano qui. Noi per anni, dai tempi dell’impero romano, abbiamo fatto al contrario, andavamo a ‘colonizzare’ altre zone: è tutto normale.
Quindi se arrivasse l’emiro di turno, in Molise…
“Ma magari!”.
“È molto complicato. È chiaro che l’intelligenza dev’essere quella di non andare a fare una lotta impari, saremmo ridicoli. Dobbiamo invece metterci in scia di certi fenomeni, imitarli nel modello e capire nella nostra piccola nicchia qual è il trend che sta funzionando. Tradotto, se i marchi che vanno sono Gucci e Prada, la nostra ambizione è – con marchi come Marcobologna o Le Tonerre – di essere nei negozi che vendono Gucci e Prada. Chiaramente loro immetteranno 100mila euro di ordine, noi 5mila, ma non abbiamo gli stessi costi: siamo un’azienda molto snella e veloce. La competizione non è proprio in essere: è come se oggi fondassimo una squadra di calcio e volessimo competere con la Juventus, impossibile. Però si può mutuare il modello in C1 ed essere vincenti per arrivare un giorno in serie A”.
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