La Chiesa, da un po’, prova a fare i conti con la pedofilia, con gli abusi sessuali commessi dai sacerdoti, pare non voglia nascondere più la testa sotto la sabbia. Un summit tenutosi a Roma nella scorsa settimana e la dichiarazione, fatta proprio da Bergoglio, che si farà estensori di un documento ‘motu proprio’ con il quale parlerà di protezione dei minori e delle persone vulnerabili per la prevenzione e il contrasto degli abusi nella Curia Romana e nello Stato Città del Vaticano.
“Vorrei tanto credere che il Papa sia sincero. Ma manca un tassello fondamentale: per essere più chiara, quando inizia un processo nei confronti di un prete, io credo che sacerdote debba essere cacciato dalla Chiesa, senza tentennamenti, insabbiamenti o coperture. Serve sottoporre all’autorità giudiziaria i preti pedofili ma anche chi insabbia le vicende, chi le nasconde. Non è normale vedere subito ridotti allo stato laicale preti che si dichiarano gay e invece i preti pedofili non vengono toccati ma, al contrario, protetti” spiega Giada, al ritorno da Roma dove ha partecipato alla manifestazione “March to Zero” dove migliaia di persone, fra le quali le vittime degli abusi commessi dai sacerdoti, hanno chiesto ‘zero tolleranza e zero insabbiamenti’.
Giada non frequenta più la Chiesa, non partecipa più alle funzioni religiose, non passa nemmeno accanto ad un luogo di culto. “Ho dentro di me un senso di rancore profondo verso la Chiesa perché non ha saputo proteggermi e rendermi Giustizia e mi ha consegnato, occultando le colpe di Marino Genova, ad un branco di lupi, tra i quali i rappresentati della Chiesa stessa. Don Marino non è stato nemmeno ridotto allo stato laicale dalla Chiesa nonostante una condanna di primo grado da parte della magistratura, è tutt’oggi un sacerdote” racconta con voce ferma, senza tentennamenti né accenni di lacrime.
E’ cresciuta in fretta, sta lavorando su se stessa per uscire fuori da questo baratro che l’ha inghiottita in un giorno come tanti, quando frequentava solo la terza media.
“Sto affrontando un cammino di ricomposizione della mia anima, con sedute psicologiche e cure da parte di uno psichiatra che stanno cercando di ridare vigore alla mia anima ferita. C’è ancora tanto da fare, sono terapie lunghe e difficili da affrontare” ammette.
“Ora sto vivendo questi giorni che precedono l’udienza in Tribunale di giovedì prossimo con un’ansia che mi allontana anche dai miei impegni di studio perché, per ottobre, dovrei finire la specialistica. L’incertezza nel futuro è una delle cose più difficili da vivere. Vorrei finalmente una Giustizia completa, che metta un punto fermo a questo dramma e che mi restituisca fiducia negli altri e in me stessa permettendomi finalmente di girare pagina e di conseguire e realizzare quegli obiettivi che ho perseguito con impegno, malgrado tutto”.
Come è cambiata Giada da quei giorni in cui la sua storia personale di abusi e soprusi è entrata per la prima volta in un’aula di Giustizia ad oggi?
“Sono più cosciente di quello che mi è accaduto e mi accade. Sicuramente non posso dire di sentirmi bene e che io sia felice, perché non è così. Don Marino mi ha distrutto la vita”.
E quel sacerdote dai capelli rossicci e gli occhi chiari, che non risponde alle domande dei giornalisti (lo si può rivedere su “Servizio Pubblico” di Michele Santoro, a margine dell’intervista rilasciata da Giada e nuovamente trasmessa il 20 febbraio scorso, assieme ad altre testimonianza di abusati da sacerdoti) è consapevole di averle distrutto la vita. Lo ha scritto proprio lui, di suo pugno.
“È tutta colpa mia, dovevo proteggerla. Io ero il suo sacerdote, lei una ragazza” ha scritto don Marino che di anni ne aveva 58 quando mise per la prima volta le mani addosso ad una 13enne nel pieno dell’adolescenza, che stava facendo i conti con il dolore della perdita improvvisa di un genitore. Quando la chiuse nella sagrestia e per la prima volta la costrinse a subire abusi che sarebbero durati per tanti altri anni ancora. E Giada, ancora oggi, quando avverte nell’aria quell’odore di colonia simile al dopobarba che usava don Marino ha ancora quello stesso desiderio di scappare via, lontano.
“Io sono passata dall’infanzia protetta dalla famiglia all’inferno dell’adolescenza. Ho perso tanto, troppo: quel periodo nel quale si inizia a crescere, la vita sociale, le mie emozioni, la mia vita sentimentale e anche la salute perché anni di psicofarmaci hanno compromesso il mio benessere fisico. A volte alcune persone dicono che la sofferenza aiuta a crescere, avrei preferito diventare grande in una maniera diversa. Malgrado tanti dolori e tante offese mi sento più matura e in certi momenti più grintosa nell’affrontare la vita anche se avverto ancora l’atteggiamento di ostile chiusura di una parte della comunità nella quale vivo che ancora oggi mi fa sentire marchiata dalla colpa”.
Vittime che hanno il coraggio di denunciare, di parlare, di rompere quelle catene che le tengono legate ai propri carnefici. Giada è fra quelli che hanno cominciato a dare picconate ai muri di protezione che da sempre consentono agli uomini di Chiesa di ‘salvarsi’ dopo aver ‘regalato’ l’inferno alle proprie vittime.
“Il coraggio dovrebbe arrivare dalla Giustizia, dall’ascolto che viene offerto alle vittime che riescono a liberarsi dalla paura, dal pudore che spesso limita nel denunciare. L’unica spinta a denunciare è la certezza della Giustizia”. Un obiettivo che sembra ancora lontano ma che Giada vuole raggiungere. Per se stessa e per gli altri.
lusa
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