HomeNotizieCRONACAL’incubo nella camera 609, la verità: non fu suicidio, ma omicidio

L’incubo nella camera 609, la verità: non fu suicidio, ma omicidio

Il caso della giovane Martina Rossi, nell’approfondimento della criminologa, psicologa e psicoterapeuta Francesca Capozza, la quale evidenzia quello che è, purtroppo, il comportamento di molti giovanissimi in vacanza


Era giovanissima, Martina Rossi, studentessa genovese, che nell’entusiasmo dei suoi 20 anni decise di passare le vacanze alle Baleari, in compagnia delle sue amiche più strette. Non sapeva, però, che queste sarebbero state le sue ultime vacanze. Era il 3 Agosto del 2011 quando la notizia del “gesto suicida” squarcia l’anima dei familiari della giovane: Martina, si sarebbe lanciata dal balcone del sesto piano della camera dell’hotel in cui alloggiava a Palma di Maiorca, in Spagna.
Ricostruiamo i fatti. Arrivata da 2 giorni, nel corso di una serata, insieme alle amiche, aveva incontrato quattro ragazzi aretini. Al rientro in albergo, le compagne di Martina si appartano nella loro stanza al primo piano con due ragazzi. Martina, per lasciarle alla loro intimità, con discrezione, sale con gli altri, A. Albertoni e L.Vanneschi, al sesto piano nella stanza 609, la loro stanza, per chiacchierare, in attesa di rientrare nella sua camera. Di lì a poco, dal balcone di quella stanza, Martina precipita e muore. Il caso fu sbrigativamente classificato come suicidio dalle autorità spagnole, dopo aver inizialmente dipinto l’accaduto come un caso di balconing, pratica rischiosa e in voga dal 2000 che prevede di saltare da un balcone all’altro negli hotel. Non fu aperta alcuna inchiesta, “per non gettare discredito in quel momento sul potere attrattivo turistico della cittadina”, dirà il Procuratore Generale Roberto Rossi. Ma troppi aspetti non quadravano con l’ipotesi di suicidio.
La Procura di Genova acquisisce il fascicolo. Il corpo della 20enne genovese viene riesumato e si scoprono scenari completamente diversi. Vengono avviate indagini sui 2 ragazzi che raccontano come Martina, in preda ad una “crisi isterica”, si fosse lanciata volontariamente dal balcone. La difesa si appella perentoriamente e duramente a presunte fragilità psicologiche della giovane che in tarda adolescenza avrebbe sofferto consistentemente per una delusione d’amore, indugiando sul tentativo di gettare discredito sull’equilibrio emotivo della giovane, attribuendo cioè colpevolezza alla stessa nel sottolineare con fermezza condizioni psicologiche predisponenti il suicidio. Una doppia vittimizzazione in questo caso, non solo perché si induce una persona a perdere la vita, ma anche perché la si denigra, tentando di colpevolizzare possibili fragilità psicologiche passate, focalizzandosi su alterazioni dell’umore e insicurezze intrapsichiche e relazionali invece del tutto plausibili e spesso condivise in una fase molto delicata della vita di un individuo, quale quella dell’adolescenza. Periodo prontamente affrontato, anche dalla famiglia, attraverso un percorso psicologico positivamente conclusosi.
Grande è stata invece la capacità di resilienza della giovane che ha fronteggiato efficacemente il periodo adolescenziale biopsicosocialmente impegnativo, mostrando soddisfazione per la propria vita personale e scolastica, frequentando con successo la facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, esperendo un umore positivo, gioviale e solare, come riferiscono le sue amiche. Martina era proiettata nei suoi progetti futuri, elemento psicologico cruciale quando si vagliano ipotesi suicidiarie, e aveva intessuto positive relazioni con nuovi conoscenti già dai primi giorni in Spagna. Aperta al mondo e agli altri, quindi. Lontana da qualsiasi ipotesi auto aggressiva.
La perizia sul corpo della vittima, esclude utilizzo o abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche ed evidenzia la presenza di lesioni e segni che non sono compatibili con l’ipotesi del suicidio, fratture al volto, graffi e una tumefazione alla spalla, compatibili con un possibile ferimento della giovane  prima della caduta – elemento che avvalora la tesi della Procura, secondo cui la ventenne stava provando a sfuggire a un tentativo di violenza sessuale.
Albertoni e Vanneschi da subito forniscono una ricostruzione dei fatti dipingendo la giovane come una “pazza”, con turbe psichiche, che avrebbe addirittura preso la rincorsa per lanciarsi volontariamente nel vuoto. In realtà i fatti vanno diversamente. Ci sono indizi gravi, precisi e concordanti: cadavere seminudo (ipotizzabile quindi un tentativo di violenza sessuale), presenza di graffi sul collo dell’Albertoni (plausibili con un tentativo di difesa e non segno di “aggressione isterica”, come giustificato da quest’ultimo), caduta a candela (che indica una caduta per precipitazione verticale e non per lancio con rincorsa, come sostenuto dai 2 imputati), risultanze della perizia di parte sul corpo della giovane, testimonianza dei vicini di camera, padre e figlia danese, che riferiscono di un urlo della ragazza nel precipitare e poi di passi precipitosi per le scale (mentre l’Albertoni affermava di essere sceso per le scale prima della caduta della giovane, per chiedere aiuto alle amiche affinchè calmassero Martina nella sua “crisi”). Dopo la caduta, i 2 costruiscono ad hoc una quanto più credibile messa in scena. Alessandro bussa alla porta delle amiche simulando l’impazzimento, Luca scende con più calma a dire che Martina si è buttata.
A quasi sei mesi dalla sentenza, il tribunale di Arezzo ha reso pubbliche le motivazioni che hanno portato gli imputati alla condanna a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo e altrettanti per morte in conseguenza di questo reato.

Due giovani senza scrupoli, pronti nell’immediatezza del fatto a costruire lucidamente e distaccatamente una “messinscena”, pronti altresì ad incontrarsi prima di essere convocati in Questura a Genova per “concordare” quel che bisognava dire. Esultano nell’ apprendere dal fascicolo di indagine, che “non c’è traccia di violenza sessuale”. I post su Facebook in cui i due esaltavano la vacanza spagnola, già pochi giorni dopo l’evento tragico, sono raccapriccianti: “Veramente un’avventura alla Vallanzasca la nostra. Abbiamo lasciato il segno!!”. Gli stessi proseguono inoltre la vacanza “come se nulla fosse accaduto, indifferenti, spensierati, e continuando a divertirsi”, dicono le motivazioni della sentenza.
Martina è caduta dal balcone della camera dell’hotel in cui alloggiava per cercare di sfuggire a un tentativo di violenza sessuale di gruppo, fuggiva da un incubo, cercava disperatamente di passare al balcone della camera adiacente per salvare se stessa, i suoi sogni, i suoi progetti, di tutelare la sua felicità e la sua vita che amava tanto.

 

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