Le minoranze e i Popolari abbandonano l’aula. Interviene anche il PD a stigmatizzare l’operato del sindaco. Moscato difende, invece, la scelta dell’amministrazione di trattare con la ditta aggiudicataria del bando: “Abbiamo evitato una specie di Lodo Spinosa bis”
ISERNIA. Nel bel mezzo della discussione in assise civica sui famigerati parcheggi a pagamento a Isernia, le minoranze unitamente al gruppo dei Popolari abbandonano l’aula, facendo venir meno il numero legale.
Si conclude così con un nulla di fatto l’ennesimo confronto sul tema delle strisce blu nel capoluogo pentro, alla luce di un bando nel quale il numero degli stalli previsti è lievitato di ben 145 unità rispetto a quanto stabilito con una delibera di Consiglio del marzo 2018. E del quale, con mozione della consigliera di CasaPound Francesca Bruno (assente per la gran parte della discussione, ndr), condivisa da più parti politiche, è stato chiesto l’annullamento.
L’amministrazione, invece, ha scelto la strada della transazione con la ditta che si è aggiudicata la gara, ‘chiudendo la partita’ accordando all’impresa solo un aumento del 5% del numero dei parcheggi rispetto agli 827 inizialmente previsti, per un totale di 867.
A difendere tale scelta, in primis, il consigliere Nicola Moscato che ha posto l’attenzione sulla necessità di evitare una richiesta di risarcimento danni da parte della ditta A.J. Mobilità Srl, ma anche sugli altri servizi previsti nel bando a favore della città.
“La delibera approvata quasi all’unanimità dal Consiglio nel marzo del 2018, – ha affermato – oltre a prevedere l’esternalizzazione della gestione delle soste blu, prevede tanti altri importanti interventi e servizi, tra cui la manutenzione della segnaletica stradale e la riattivazione del bike sharing, per il quale è andato perso già il 90 percento dei fondi e un 10 percento è sub iudice”.
Moscato, riconducendo la responsabilità degli errori negli atti della gara d’appalto alla struttura tecnica e dirigenziale, ha evidenziato: “Avremmo vissuto una specie di Lodo Spinosa bis, perché la ditta che si è aggiudicata l’appalto avrebbe potuto legittimamente chiedere i danni e in questo caso si sarebbero configurati sia il danno emergente pari al costo della concessione, sia il lucro cessante che sarebbe stato pari a 15 anni di concessione. Dunque, l’amministrazione ha proceduto in termini di legge, perché l’art 175 del Codice degli appalti prevede la possibilità per l’ente di modificare la condizione di contratto qualora non se ne vada a toccare la natura o gli equilibri economici e se le modifiche vanno a vantaggio dell’amministrazione”. Non è tutto. “L’aumento del 5% è previsto al punto 9 della delibera votata dal Consiglio e si è reso chiaramente necessario in una situazione transattiva”.