HomeNotizieCULTURA & SPETTACOLIL’Espresso elogia Domenico Iannacone, la ‘faccia buona’ della televisione pubblica

L’Espresso elogia Domenico Iannacone, la ‘faccia buona’ della televisione pubblica

L’articolo di Beatrice Dondi, uscito ieri sull’importante rivista, racconta il lavoro del giornalista molisano nel suo nuovo programma ‘Che ci faccio qui’


MOLISE. “Ma che ci fa in questa tv Domenico Iannacone?”, una domanda apparentemente semplice ma che – se ci si pensa – non è così scontata. Se l’è posta Beatrice Dondi in un articolo uscito ieri su L’Espresso, nel quale la collega prova a raccontare non tanto il lavoro del giornalista molisano nel suo nuovo programma ‘Che ci faccio qui, in onda sulla terza rete con quattro speciali, quanto lo spirito con cui Iannacone racconta le ‘sue’ storie.

“Il giornalista molisano – scrive la Dondi – ha imbracciato la forza dei suoi silenzi per lasciare ancora una volta sterminati spazi al dire altrui. E ha ricominciato a proporre i suoi racconti, per voci e immagine. Come fossero dolenti canzoni. Questa volta è partito dalle periferie, Scampia a Napoli e San Basilio a Roma, con l’ambizione altissima di restituire un nome alle cose e alle persone che l’hanno perduto da tempo. A volte recuperando forze all’apparenza abbandonate, per provare a ripartire”.


Iannacone così incontra Davide ‘Ciaocream’ Cerullo, ex camorrista, spacciatore, boss, segnato da una vita in carcere che oggi l’ha reso uno scrittore, e che oggi “parla un italiano impeccabile dall’alto della sua quinta elementare e trascina lo spettatore in un flusso di rinascita contagioso, un girotondo di parole senza bene e senza male che danzano intorno alle immagini trasmesse, le avvolgono, entrano ed escono, passando da una Vela all’altra, da una storia a un’altra storia, fino a trasformare, almeno per una volta agli occhi di chi guarda, la periferia in centro”.


“Ed è qui – continua l’articolo – che arriva la faccia buona di Iannacone, che guarda senza scrutare, ascolta senza puntualizzare mai, annuisce senza giudizio, regala autostrade di relazioni ed empatia, sradicando di punto in bianco l’insulso dualismo buoni-buonisti a cui la televisione che generalmente non sa dove andare si aggrappa neanche fosse l’ultimo filo dell’equilibrista. Così, per quattro serate quel popolo senza nome e di poche parole, quel popolo abbandonato dai riflettori sotto cui viene messo a forza a seconda degli interessi del momento, finalmente si accende una luce da solo, si rimpossessa della guida e mostra tutte le sue ferite. Da cui a volte si guarisce”.

Uno splendido omaggio all’umanità di un collega che, con il suo lavoro, ricorda a tutti noi quale dovrebbe essere il vero spirito con il quale un giornalista racconta le storie che incontra: con garbo, educazione, rispetto, senza giudizi, ma lasciando che siano i suoi protagonisti a dipanarla davanti agli occhi degli spettatori. Un’eleganza gentile che, troppo spesso, viene dimenticata soprattutto da giornalisti ben più blasonati.

Pietro Ranieri

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