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La sete di giustizia di Giada Vitale: torna alla sbarra don Marino Genova

Il 3 febbraio il gip di Larino dovrà decidere sull’opposizione all’archiviazione presentata dall’avvocato della giovane donna, Giuseppe D’Urbano


di Greta Rodan*

Arriverà di nuovo in aula il 3 febbraio, dinanzi al Giudice per le indagini preliminari di Larino, la vicenda di Giada Vitale, una donna molisana di 24 anni che avuto il coraggio di denunciare nel 2013 il parroco del suo paese per aver abusato di lei tra i 13 e i 17 anni. L’uomo, don Marino Genova, ex parroco di Portocannone, è stato condannato nei primi due gradi di giudizio a quattro anni e dieci mesi relativamente ai 60 giorni che precedono i 14 anni della vittima. Mentre per il periodo che va dai 14 ai 17 anni della ragazza, il Gip ha stabilito in precedenza di archiviare, ritenendo Giada consenziente appena compiuti i 14 anni. In seguito alla riapertura delle indagini, il pubblico ministero Ilaria Toncini ha chiesto  nuovamente l’archiviazione al Gip perché “non appare delinearsi in maniera chiara e univoca una condizione di subalternità e di inferiorità fisica e psichica”. Si è in attesa del 3 febbraio, quando l’attuale Gip di Larino, Rosaria Vecchi, deciderà sulla opposizione all’archiviazione posta in essere dal legale di Giada, l’avvocato Giuseppe D’Urbano. L’incontro con Giada e col suo coraggio e col suo dolore, mi ha spinto a spendere per lei queste parole.

“Sono esausta”, mi dice Giada, me lo dice a parole, me lo dice dai suoi occhi di giovane donna già stanchi, così tragicamente provati, così belli. Giada perde il padre a 3 anni, questo da solo è un dramma profondo e che cambia l’esistenza, se non fosse che a cambiare la vita di questa delicata e coraggiosa creatura è un evento di portata enorme, di devastante tragicità.

Giada conosce Don M. a 12 anni, in chiesa, nel suo paese, uno dei tanti di questo nostro Molise, perché Giada è già una musicista, è in anticipo sui tempi, un talento e una promessa. Don M. sembra voler diventare la figura di educatore, di consigliere, di amico che a Giada è mancata mentre lei comincia a affacciarsi al mondo con grazia. Ma il suo educatore, ora che lei ha 13 anni, vuole essere per lei altro, e così lo diventa, con determinazione mostruosa, per lei che è così piccola, per lei che è una bambina, per lei violata nel cuore, nel cervello e nel corpo tanto da sentirli esplodere, da sentirsi una minuscola bambola, un giocattolo rotto, un errore. La gravità dei fatti non la capisci quasi mai quando ti accadono, la capisci col tempo, con la consapevolezza, eppure qualcosa in te lo sa, lo sente, qualcosa ti grida nell’orecchio sinistro, dalla parte del battito. Ma tu la riconosci anni dopo, lei la riconosce anni dopo, quando ha 17 anni, quando è tardi per salvare la bambina che sarebbe dovuta essere ma è ancora possibile, invece, salvare la donna che sarà. E allora denuncia, ché nessuno che non ci sia mai trovato può capire il coraggio della parola “denuncia”. Lo fa, ci riesce, pensa incautamente che sarà quello l’inizio della sua nuova vita, da essere umano libero e tutelato e finalmente protetto. Ma nelle aule gelide, qualcuno che partecipi al tuo dolore non sempre lo trovi.

Don M. viene condannato a 4 anni e 10 mesi di carcere per i fatti compiuti prima dei 14 anni di Giada, non ha scontato un solo giorno di carcere perché è ancora in attesa della sentenza definitiva. Per il periodo compreso tra i 14 e i 17 anni di Giada, la posizione di Don M., un uomo di 40 anni più grande di Giada, è stata archiviata, due volte, perché i giudici hanno stabilito che Giada, una bimba di 14 anni, è stata consenziente. Giada non si arrende, Giada vuole giustizia, vuole Pace. Va dovunque la ascoltino, partecipa a trasmissioni televisive nazionali, si fa intervistare, ci mette la faccia. Voi lo sapete che carattere, che determinazione ci vogliono a metterci la faccia? Ci vogliono quelli di questa ragazza, che ora ha 24 anni, che ha subito violenze, abusi, che è stata insultata per anni dai compaesani con “Don M. ne poteva avere cento più belle di te”, “Lo hai sedotto tu”. Voi lo sapete che coltelli sono queste parole? Lo sapete che sono coltelli in ferite più grosse, in abissi di disperazione e solitudine e “Dio mio non ce la farò, non ce la farò”?

Lo sapete che cuore devastato ha la nostra Giada? Perché lei è nostra, vorrebbe esserlo, vorrebbe essere la sorella dei magistrati perché allora i magistrati comprendano davvero il dolore, la figlia del paesano che insulta perché allora la abbraccerebbe, le direbbe “ci sono qua io a proteggerti”. E per me questa sconosciuta creatura è mia sorella, la mia amica, e insieme aspettiamo il 3 febbraio quando il tribunale di Larino deciderà per la terza volta se archiviare o finalmente cominciare la strada della giustizia per Giada, per quello che di lei resta, per la pace di quella bambina dimenticata, per la pace di questa ragazza tenace ma che mi dice, vi dice, “sono esausta”, per lei, offesa nell’anima da quello che qui chiamo fino alla fine Don M. benché il suo nome sia pubblico, perché voglio solo bellezza, coraggio, speranza in queste parole e Giada Vitale è il solo nome che me li ricordi.

scrittrice*

 

 

Pasquale

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