I dati resi noti da Aldo Di Giacomo del sindacato di polizia penitenziaria e consegnati al Ministero della Salute per un Piano straordinario di prevenzione
CAMPOBASSO. Detenuti sempre più malati, in Italia come in Molise. E dal sindacato di Polizia penitenziaria giunge la denuncia dritta sul tavolo del Ministero della salute per un piano straordinario di prevenzione.
In regione – segnala Aldo Di Giacomo – è la tossicodipendenza ad affliggere maggiormente i soggetti reclusi, ne sono 149. Altre patologie frequenti sono il deficit della masticazione, seguito da malattie osteo-articolari di origine traumatica, malattie epato-biliari, depressione e poi malattie infettive e mentali.
Una situazione che rispecchia quella più generale che interessa l’Italia intera, con dati drammatici: due detenuti su tre sono malati, tra i 25mila e i 35mila sono affetti da Epatite C, in aumento Hiv positivi (6.500) e tubercolosi, almeno un migliaio i detenuti con problemi mentali nelle celle di istituti normali e 1200 in istituti specifici. Questi in sintesi i dati del dossier che il Sindacato Polizia Penitenziaria ha consegnato oggi nell’incontro al Ministero della Salute dedicato ai problemi della sanità penitenziaria. A ciò si aggiunge il tema della carenza di personale medico nelle carceri.
Ogni duecento pazienti detenuti – denuncia ancora il Spp – dovrebbe esserci un medico, mentre l’incolumità professionale non è garantita perché esiste un burnout di lavoro insostenibile. In media i medici fanno 70 visite giornaliere, a cui si aggiungono controlli e dimissioni, quindi c’è una mole di lavoro eccessiva che mette a rischio l’incolumità professionale.
“Questi dati – commenta Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – sono allarmanti e mettono a rischio la salute dei detenuti e del personale penitenziario. Il carcere è territorio tra infettivologia e psichiatria con i continui casi di suicidio ed autolesionismo. Ci associamo all’appello dei medici per un piano straordinario di prevenzione delle malattie infettive che coinvolga il personale in servizio. Pertanto, è indispensabile per queste categorie di detenuti una carcerazione diversa in strutture specifiche che si occupino di curare prima di ogni cosa. Non si può sottovalutare – aggiunge – che la situazione in tutte le carceri è diventata esasperante per il personale che specie per il sistema ‘celle aperte’ non è in grado svolgere il suo lavoro e non ha alcuno strumento di prevenzione per la salute.
È ancor più intollerabile – continua Di Giacomo – che si parli solo ed esclusivamente di assicurare i LEA (Livelli essenziali di assistenza) ai detenuti escludendo il personale penitenziario, continuando a sottovalutare i rischi.
Inoltre, il caso dello stupro nel carcere di Udine di un detenuto con problemi mentali ad opera di altri detenuti dovrebbe riaccendere l’attenzione su un problema che abbiamo sollevato da troppo tempo sempre inascoltati: solo l’1 per cento delle violenze sessuali in cella viene denunciato, con i più deboli costretti a pagare l’assenza di misure di tutela personale.
È evidente che se fuori dal carcere stenta ad affermarsi la denuncia di violenze sessuali nel carcere questa tendenza è ancora più negativa per una serie di motivazioni che gli esperti hanno più volte indicato, dalla vergogna e paura di chi ha subito la violenza all’assenza di garanzie di tutela per il denunciante. Un fenomeno rispetto al quale l’Amministrazione Penitenziaria volutamente – conclude il segretario del Spp – non è in grado di fornire dati, specie se si pensa allo ‘scambio di sesso’ i detenuti tossicodipendenti o alcolisti in cambio di psicofarmaci e alcol”. Situazione che va dunque arginata con un piano straordinario.
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