CONTATTI PERICOLOSI? Fare il test nell’immediato, come dichiarato anche dal direttore generale Asrem Oreste Florenzano ieri a Telemolise, non avrebbe senso perché bisogna dare il tempo al virus di incubarsi (72 ore). Nel mentre dunque, ai sensi dell’articolo 7 del Decreto legge n. 14 entrato in vigore il 9 marzo 2020 (Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza Covid-19), è previsto che gli operatori sanitari entrati in contatto senza dispositivi di protezione individuale idonei secondo le disposizioni vigenti con pazienti di Covid-19 non siano posti obbligatoriamente in quarantena. Dunque, se il tampone è negativo e non mostrano sintomi, possono tornare a lavorare. In barba alla richiesta del sindacato dirigenti medici Anaao Assomed, che nei giorni scorsi ha richiesto, a livello nazionale, di rendere obbligatorio l’isolamento fiduciario a casa per 72 ore per gli operatori sanitari entrati a stretto contatto di pazienti Covid-19 positivi.
CAMICI BIANCHI INFETTI. Ma se invece l’operatore sanitario è positivo e resta asintomatico? Cosa accade? Va in isolamento fiduciario domiciliare per 14 giorni o è precettato per carenza di personale e dunque, continua a lavorare con tutte le protezioni possibili, ma con il rischio di diventare un super diffusore di contagio? Neppure questo è chiaro. Esiste una circolare Asrem che detti linee guida precise ed inequivocabili, in merito? Se sì, sarebbe bene renderla pubblica. Anche perché sono già numerosi i medici del 118 – tra Riccia, Bojano, Baranello e altri comuni – che sono risultati positivi al virus. Che accadrebbe se si scoprisse che gran parte del personale sanitario in Molise è positivo al coronavirus e deve mettersi in isolamento?
IL CASO RIONERO: POSITIVO DOPO 7 GIORNI DAL PRIMO TAMPONE. Poniamoci una domanda: il tampone serve davvero a dare una mappatura precisa del contagio? Una possibile risposta l’ha fornita in questi giorni il ministro della Salute Roberto Speranza: “Il tampone è la fotografia di un istante, il tempo di incubazione e manifestazione dei sintomi di questa patologia può arrivare fino a 14 giorni, per cui l’isolamento sociale è l’unica chiave possibile. La vera strada è dire alle persone che non ne hanno bisogno di non uscire di casa”. Insomma, un test negativo non vuol dire di certo essere scampati al contagio. Lo dimostra anche un caso avvenuto in Molise, in cui un 59enne di Rionero Sannitico, dopo una settimana dal primo screening che aveva dato esito negativo, si è scoperto avere contratto il virus, che evidentemente non si era ancora incubato.
TROPPE DIFFERENZE. Va detto che esiste una circolare del ministero della Salute, datata 9 marzo, che detta una serie di linee guida sui profili di persone da sottoporre al test. Le quali, tuttavia, devono essere recepite e applicate da ogni regione, che ha la competenza esclusiva sulla sanità, e soprattutto deve gestire situazioni molto diverse fra loro. Inoltre, perfino la comunità scientifica, sul da farsi, appare assolutamente divisa sulla quantità di tamponi da fare e a chi.
TAMPONI POST-MORTEM. C’è poi un altro problema, quello dei test sui decessi sospetti. Chi accerta la causa di morte a seguito di un decesso? Il medico di medicina generale, la guardia medica, il 118 o il necroscopo? E il tampone post-mortem (effettuato ad esempio su un 84enne di Termoli risultato poi positivo) va fatto solo a chi finisce in Malattie Infettive? Esiste anche in tal caso una direttiva? Anche perché ai fini statistici ed epidemiologici è fondamentale capire, se le morti che stanno avvenendo in regione, specchio della situazione nazionale in questi giorni, sono per cronicità, acuzie o Covid-19.
Ferma restando l’evidente situazione di difficoltà in cui tutta Italia versa, a causa della pandemia, i numeri del Molise – al momento – ancora non sono da allarme rosso e speriamo non lo diventino mai. Ma a maggior ragione, il caos sui tamponi va chiarito dagli organi preposti. Subito, per il bene di tutti.
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