HomeOcchi PuntatiCoronavirus, in piena emergenza l’effetto di decenni di tagli alla sanità pubblica

Coronavirus, in piena emergenza l’effetto di decenni di tagli alla sanità pubblica

Sottratti 37 miliardi al Sistema sanitario in favore dei privati e l’epidemia evidenzia tutti i problemi di questa operazione di definanziamento

La pandemia rappresenta una dura prova per l’Italia e per il mondo intero. E, specie per il Bel Paese, fa emergere i difetti del sistema. In particolare gli effetti di almeno un decennio di definanziamento al settore sanitario pubblico (secondo le stime della Fondazione Gimbe, al Ssn sono stati sottratti 37 miliardi, di cui 25 solo nel 2010-2015), in favore di quello privato. Ma in emergenza il circolo ‘virtuoso/vizioso’ innescato ha mostrato e continua a mostrare evidenti limiti.

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I tagli hanno colpito in particolar modo i posti letto ospedalieri, con il Governo che dall’inizio della pandemia si è visto costretto ad aumentare la capacità delle terapie intensive italiane. In quattro settimane si è arrivati a 8.370 posti, il 64% in più rispetto all’inizio dell’emergenza. Una corsa contro il tempo che si sarebbe potuta forse evitare.

DECENNI DI TAGLI. È Il Fatto Quotidiano che, rifacendosi ai dati forniti dal Centro Studi Nebo, dal Ministero della Salute e dal sindacato dei medici Anaao, ricostruisce il sistema di definanziamenti.
Secondo il “Rapporto Sanità 2018 – 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale” si è passati dai 530.000 posti letto del 1981 (di cui 68 mila dedicati all’area psichiatrica e manicomiale) ai 365.000 del 1992, dai 245.000 del 2010 fino ai 191mila del 2017, ultimo dato disponibile. In rapporto al numero di abitanti, si va da 5,8 posti letto ogni mille abitanti del 1998, ai 4,3 nel 2007 ai 3,6 nel 2017.

E ancora, stando alle informazioni minisateriali, nel 2010 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.165 istituti di cura, di cui il 54% pubblici e il 46% privati, oggi il numero è sceso a mille unità, ma a diminuire sono state di più le strutture pubbliche (che ora sono il 51,8% del totale) rispetto alle delle cliniche private accreditate (48,2%). Queste ultime dislocate soprattutto in Lazio (124), Lombardia (72) e Sicilia e Campania (58). Sono state le grandi riforme di contenimento della spesa sanitaria del 2012 (governo Monti) e del 2015 (governo Renzi) – riporta Il Fatto – a portare alla chiusura dei presidi ospedalieri più piccoli, spesso riconvertendoli in strutture alternative: negli ultimi 10 anni si sono creati 2.000 presidi in più per l’assistenza territoriale residenziale e 700 per l’assistenza semiresidenziale, mentre i posti letto diminuivano.
Un tentativo, non proprio riuscito, di efficientare il sistema e consentire assistenza fuori dagli ospedali.

Nel 2010 il Servizio sanitario nazionale (Ssn) disponeva di 244.310 posti letto per degenza ordinaria (acuti e post-acuti), di cui il 71,8% (175.417 posti letto) erano in carico al pubblico e il 28,2% (68.893) al privato, 21.761 posti per day hospital (quasi
totalmente pubblici) e 8.230 posti per day surgery (l’80% pubblici). Nel 2017, invece, i posti letto sono scesi a 3,6 ogni mille abitanti. In tutto erano 211.593 per degenza ordinaria di cui il 69,5% (147.035) in carico al Ssn, mentre il 30,5% (64.558) al privato (di questi, il 23,3% nelle strutture accreditate), 13.050 posti per day hospital, quasi tutti pubblici (89,4%) e di 8.515 posti per day surgery in grande prevalenza pubblici (78,2%). La Regione con il maggior numero di posti letto era la Lombardia con 8.384, seguita da Lazio (7.168) e Campania con 5.347.

Ed oggi la conta di quanto sottratto non può non far riflettere.

 

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