HomeOcchi PuntatiPerché la correlazione tra 5G e coronavirus è una balla spaziale

Perché la correlazione tra 5G e coronavirus è una balla spaziale

“L’importante studio” che i complottisti dell’ultima ora stanno sbandierando in realtà non ha niente di scientifico, e porta piuttosto danni non solo alla ricerca ma anche alle infrastrutture di comunicazione, fondamentali in questo periodo d’isolamento. La ricostruzione


“Il più grande esperimento medico non etico nella storia umana” è il titolo di un voluminoso incartamento di oltre mille pagine firmato dal dottor Ronald Neil Kostoff. In questo lavoro ci sarebbero le prove di un collegamento tra rete wireless ed effetti avversi sulla salute, che in ultima analisi sta venendo utilizzato in questi giorni dai complottisti per collegare il 5G – la nuovissima tecnologia di comunicazione mobile in corso di attivazione – con un indebolimento del sistema immunitario tale da acuire la pandemia da Coronavirus. La forza del documento deriva dal suo lignaggio: Kostoff sarebbe infatti un ricercatore del Georgia Institute of Technology, che secondo i complottisti avrebbe quindi avallato lo studio. Una fonte che all’apparenza sembra inattaccabile, e che ha stuzzicato più persone con il classico trucchetto del “ci stanno nascondendo qualcosa!”. Una forza così dirompente e dannosa che, in Inghilterra – riporta il CorSera – nonostante il lockdown, da Birmingham a Belfast, da Liverpool alla campagna del Merseyside, a partire da giovedì sono state vandalizzate e date alle fiamme oltre 20 torri 5G.

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In realtà, quando si ha a che fare con questo tipo di studi, sarebbe opportuno approfondire meglio di cosa si tratta per capire chi sta davvero nascondendo cosa. Partendo dall’autore: come riporta Open, il dottor Kostoff ha un PhD in Scienze aerospaziali – quindi non è un medico, né virologo, né epidemiologo – ed è effettivamente affiliato al Georgia Institute of Technology, ma l’istituto non ha partecipato al documento che è firmato solo da Kostoff: nel desclaimer del testo, pubblicato a licenza Commons, viene anche ribadito che “The views in this monograph are solely those of the author, and do not represent the views of the Georgia Institute of Technology” (“Le vedute in questa monografia sono solamente quelle dell’autore, e non rappresentano quelle del Georgia Institute of Technology”).

Il punto è che, in mancanza di una pubblicazione su rivista di settore – che prevede comunque la cosiddetta ‘peer review’, ovvero la controverifica della ricerca da parte di altri esperti, la monografia di Kostoff resta un insieme di congetture che si avvalgono di tutti gli studi appaganti il pregiudizio dell’autore. Una pratica che assume il nome di ‘cherry picking’, ovvero letteralmente ‘scegliere le ciliegie’. Si tratta di un errore logico che porta a selezionare solo le prove a sostegno della propria tesi, ignorando al contempo tutte le altre che la potrebbero confutare: è quello che succede in psicologia nel bias di conferma, ad esempio.

L’intero documento di Kostoff è composto, per lo più, da correlazioni spurie tra fenomeni contemporanei, senza la dimostrazione di un vero collegamento causale. Il che spiegherebbe per quale motivo mille e passa pagine non siano bastate ad ottenere una pubblicazione su Science, e perché il Georgia Institute of Technology abbia fatto inserire quel messaggio con il quale si dissocia fortemente da tali discutibili tesi. A differenza, invece, di due studi recenti, ritenuti dalla comunità scientifica quelli più completi sulla questione reti wireless, di cui uno tra l’altro è italiano: si tratta di quelli dell’Istituto Ramazzini di Bologna e del National toxicology program. Entrambi, purtroppo per Kostoff e per i complottisti, non mostrano prove significative di una pericolosità per le persone. Come del resto non ne emergono dalla letteratura scientifica degli ultimi settant’anni, a differenza di quanto da lui affermato nel testo: finora nessuno studio è riuscito a dimostrare scientificamente che il 5G, entro i livelli massimi stabiliti dalla legge (61 volt/metro secondo l’Unione Europea, soltanto 6 volt/metro in Italia), sia dannoso per la salute umana. La credenza è stata più volte smentita anche dai maggiori consorzi internazionali, tra cui l’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (Icnirp), che appena il mese scorso, nel pubblicare le sue ultime linee guida sui campi elettromagnetici, dopo uno studio durato sette anni ha reso noto di non aver trovato alcuna prova in tal senso. Naturalmente se un giorno dovesse essere dimostrato l’opposto, lo scenario cambierebbe: ma la scienza procede fino a prova contraria, e le prove oggi dicono che, entro i limiti previsti, non c’è nulla di cui preoccuparsi.

L’unica ‘prova’ che Kostoff è riuscito a trovare in grado di sostenere i suoi pregiudizi epidemiologici è qualche studio sui topi nei quali si ravvisa una correlazione spuria, ma niente di più. Infine, il colpo di grazia: “Non è nota la portata completa del danno dall’infrastruttura di radiazione wireless esistente, tanto meno il danno atteso dall’infrastruttura 4G / 5G implementato rapidamente oggi”, scrive l’autore. Affermazione che suona più o meno così: poiché non esiste una singola prova scientifica con la quale dimostrare che le reti wireless non sono pericolose, allora queste lo sono; da qui nasce l’assunto di Kostoff secondo il quale sarebbe in atto senza consenso dei cittadini un esperimento sull’intera popolazione umana. Viene da sé come tali conclusioni siano ridicole: l’intero discorso parte da assunti pregiudizievoli, dalla fallacia logica di falsa causa, oltre che dall’assurda pretesa che debbano essere gli Altri, i ‘poteri forti’, a dimostrare qualcosa che è già stata ampiamente smentita. Senza considerare che, se proprio, l’onere della prova spetta a chi confuta, specie davanti alla comunità scientifica.

La verità, purtroppo, resta solo una: nemmeno mille pagine di dati falsati bastano a trasformare un’opinione in una teoria scientifica. E credere in queste bufale che ci fanno sentire migliori, ‘controcorrente’, liberi pensatori superiori al ‘pensiero unico dominante’, alla lunga si rivela dannoso e controproducente per la ricerca, per il personale sanitario e soprattutti per i malati che hanno bisogno invece di risposte serie ed efficaci.

Pierre

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