Esperti e associazioni di categoria al lavoro per stilare percorsi di sicurezza per evitare rischi di contagio nella Fase 2 dell’emergenza


Si susseguono gli incontri della task force (Colao, Cts e Inail) con le associazioni di categoria al fine di elaborare nel dettaglio il piano per consentire le riaperture delle attività in sicurezza per la cosiddetta Fase 2 dell’emergenza Covid.

E c’è una bozza di protocollo – si legge sul Messaggero – confezionata dalla Fipe e Confcommercio, con l’ausilio di un virologo dello Spallanzani, ed anche da Fiepet Confesercenti, a nome dell’universo delle imprese dei pubblici esercizi italiani, che prova a regolare la ripartenza, specie degli esercizi pubblici, che auspicano altresì di poter riaprire i battenti ben prima di giugno, almeno il 18 maggio.

“Il personale, – recita il testo – prima dell’accesso al luogo di lavoro, si sottoporrà al controllo della temperatura corporea […] Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro”.

Ma non è tutto. Per i negozi, la bozza prevede, ove possibile, una separazione degli accessi di entrata e di uscita; sistemi di prenotazione telefonica e digitale; all’ingresso dispenser con gel igienizzanti per la pulizia delle mani dei clienti; indisponibilità dell’uso del guardaroba; bagni degli avventori dotati di prodotti igienizzanti, evitando assembramenti nell’accesso.

Inoltre, – ancora Il Messaggero – la bozza consiglia per i ristoranti l’adozione di menu digitali su dispositivi dei clienti o, in alternativa, l’igienizzazione dei menu dopo ogni uso; mascherine e distanziamenti dei camerieri e tra tavoli, con separazioni in plexiglass tra commensali; indica che piatti, bicchieri, posate e simili siano lavati in lavastoviglie a temperatura adeguata, in modo che possano essere disinfettati; tovaglie, tovaglioli e altri tessuti per la tavola devono essere messi in specifici sacchi per la lavanderia e il lavaggio deve assicurare la rimozione di agenti patogeni.

Per i bar si parla, invece, di contingentamento degli ingressi; separazione degli accessi; dispenser con gel igienizzanti; no ad appendiabiti comuni; nel servizio al banco distanziamento di un metro; mascherine in dotazione al personale, barriere in plexiglas nelle zone dove vi è una maggiore interazione con il pubblico (es. in prossimità delle casse).

Ed ecco un altro aspetto molto dibattuto: quello relativo alla riapertura dei negozi di abbigliamento prevista già per il 14 maggio.

Gli esperti si starebbero confrontando sulle misure di prevenzione specie per quanto concerne la misurazione di abiti, valutando di integrare il protocollo siglato dalle associazioni ‘non food’ lo scorso 24 aprile.

“Siccome non è possibile la sanificazione dei capi dopo ogni prova fatta da un cliente – spiega il Messaggero e rilancia Dagospia – perché non è stato individuato un prodotto ad hoc e perché comunque la purificazione dal virus farebbe sì che il vestito non sarebbe più nuovo, sarebbe spuntata una ipotesi. Secondo gli scienziati il virus smette di essere attivo dopo 8 ore di permanenza su un corpo inanimato come un abito: si potrebbe consigliare il negoziante di far arieggiare il capo subito dopo la misurazione da parte di un cliente e prima che lo possa indossare un altro”.

Un’ipotesi che avrebbe già fatto storcere il naso agli addetti ai lavori. Ma il ragionamento sul da farsi è in atto.  

Tutto ciò mentre le boutique per bambini sono aperte dallo scorso 14 aprile. E per loro le accortezze si limitano alla sanificazione degli ambienti con prodotti al 70% di etanolo, distanziamenti di una persona in 40 metri quadri, mascherina, dispenser ed è possibile misurare i capi ai bimbi, mentre è affidata alla discrezionalità del negoziante la cura e la messa in sicurezza del vestito secondo le buone prassi. Misure, forse, considerate non sufficienti per gli adulti.

 

 

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