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Coronavirus, il plasma iperimmune è la cura ‘già pronta’: la teoria che piace ai complottisti

Insomma, nascondendosi dietro un ragionamento lunghissimo che contiene anche dei buoni spunti di riflessione, pur dimostrando in più parti di essere condotto in maniera quantomeno approssimativa, il ‘dottor Rango’ in realtà voleva dirci: ci tengono nascosta la verità, è tutto un magna magna, ci stanno controllando, ‘non cielo dikono’, noi siamo gli eroi e i governi sono i cattivi. Sempre la solita grammatica, la spicciola retorica complottista no-vax, nascosta dietro paroloni e ragionamenti che, stringi stringi, non dicono davvero nulla. Il tutto diffuso con il metodo ormai standard del post virale senza fonti (“KONDIVIDI SE SEI INDINNIATO!!”), costruito per alimentare inutili teorie complottiste, letteralmente usando quella scintilla di speranza verso una soluzione che ci faccia tornare presto alla normalità, speranza che vive in centinaia di milioni di persone; tutto questo, solo in nome de ‘La Causa’. E quando qualsiasi redazione giornalistica degna di questo nome avrebbe volentieri dato spazio a un comunicato stampa di tale importanza, proveniente da qualcuno di attendibile, con fonti scientifiche certe. Non certo da un ‘naturopata’ senza alcuna qualifica medica riconosciuta.

Ma il professor Burioni e il dottor Fabrizio Pregliasco, virologo del’Università Statale di Milano – entrambi dotati di credenziali e facce facilmente verificabili, a differenza di Rango – hanno comunque lo stesso voluto spiegare meglio la questione affidandosi ai social network. Burioni sul suo blog ha scritto un post sulla vicenda, nel quale spiega che la plasmaferesi non è un segreto né un tabù, ma che i problemi sono tutt’altri rispetto a quelli segnalati nel messaggio virale: “Prima di tutto non pensate al plasma di un donatore come qualcosa di facile da preparare o di economico: è vero l’esatto contrario. Bisogna selezionare accuratamente i pazienti (ci vuole tempo e denaro), bisogna preparare il plasma, bisogna sincerarsi che il plasma non trasmetta altre malattie infettive (tutto quello che viene dal sangue è rischioso), bisogna valutare la quantità di anticorpi neutralizzanti il virus e anche escludere la presenza di anticorpi che possano danneggiare le cellule del paziente che riceverà la donazione. Inoltre, i diversi preparati sono difficili da standardizzare: in altre parole il contenuto di anticorpi sarà diverso da una preparazione all’altra e questo diminuirà in alcuni casi l’efficacia (somministriamo la stessa quantità di plasma, ma una diversa quantità di “principio attivo”). Però, soprattutto l’elemento limitante è il numero dei donatori: solo chi è guarito può donare il sangue e quindi le quantità disponibili sono per ovvi motivi (non possiamo dissanguare le persone) estremamente limitate. In generale, due guariti riescono a curare un malato, ma anche con una proporzione uno a uno voi capite che non si va molto lontano. Inoltre, non è una pratica priva di controindicazioni: oltre alla presenza di anticorpi “dannosi” di cui abbiamo parlato prima, le somministrazioni di plasma possono alterare i processi della coagulazione. In un paziente COVID-19 dove questa funzione appare disturbata, bisogna avere particolare cautela”, scrive Burioni su Medical Facts.

Pregliasco ha invece commentato all’AdnKronos Salute che sul tema le sciocchezze ormai si sprecano. “È incredibile il clima da stadio che si è scatenato sul plasma iperimmune donato dai pazienti guariti da Covid-19 per aiutare altri malati. Si tratta di un approccio con 100 anni di storia, sperimentato in uno studio italiano pionieristico ma anche nel resto del mondo, e che va validato come tutte le terapie. Il complottismo dice che è una terapia quasi fatta in casa, ma invece si tratta di un prodotto che va lavorato e standardizzato, dunque già coinvolge e coinvolgerà ancor di più in futuro le aziende farmaceutiche”, conclude il virologo.

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