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Coronavirus, spunta l’ipotesi di una pre-immunità legata ai raffreddori

La scoperta di un team di ricercatori che ha rilevato anticorpi anche in persone mai entrate in contatto con il Covid. Uno studio ancora parziale che apre però scenari rilevanti per la ricerca sulla malattia e anche qualche dubbio sui test sierologici


La questione immunità al Coronavirus resta ancora molto dibattuta tra gli studiosi, impegnati nella lotta all’epidemia. E mentre si cercano evidenze per nuove cure, specie per il vaccino, spunta anche ma ottenuta l’ipotesi di una sorta di ‘pre-immunità’ a Sars-CoV-2 senza essere mai entrati in contatto con il virus tramite un raffreddore, ossia altri coronavirus più leggeri.

L’ipotesi – rilanciata ai più dal CorSera – è stata avanzata da uno studio di un team di ricercatori californiani del Center for Infectious Disease and Vaccine Research presso La Jolla Institute for Immunology, pubblicato sulla rivista Cell. “Nella ricerca – si legge – gli scienziati hanno analizzato il sangue di una piccola popolazione di pazienti convalescenti (20 persone) e di soggetti mai esposti al virus (altre 20). Il sangue dei soggetti non esposti al virus era stato raccolto tra il 2015 ed il 2018”. E ne hanno osservato la risposta immunitaria.

Ebbene, nei soggetti convalescenti è stata confermata una robusta risposta immunitaria al virus: in sostanza, il sistema immunitario sarebbe in grado di riconoscere Sars-CoV-2 e tale reazione rappresenterebbe un buon traguardo per lo sviluppo futuro di un vaccino.

“I ricercatori – scrive Cristina Marrone sul Corriere – hanno testato oltre 3.000 frammenti di virus per determinare quali sono riconosciuti dal sistema immunitario umano e si sono concentrati su un tipo di cellule del sistema immune chiamate cellule T, ed hanno trovato che il 100% dei convalescenti esprimeva le cellule T. Queste cellule aiutano le cellule B a creare anticorpi. Inoltre, i convalescenti possedevano anche gli anticorpi contro molte delle proteine di Sars-CoV-2, mentre il 70% aveva cellule T di altro tipo, che intervengono nella distruzione diretta delle cellule infettate dal virus”.

La scoperta riguarda, però, i non convalescenti, coloro i quali non sono mai stati esposti al virus. In 11 dei 20 campioni – si apprende – vi era la risposta immune (mediata da cellule T) al Sars-CoV-2. Ad indicare che “una porzione importante della popolazione californiana è stata esposta in precedenza a uno dei quattro coronavirus umani più deboli”, come quelli che provocano raffreddori.

Tale circostanza avrebbe generato una immunità parziale.

Non è chiaro, tuttavia, se la crossreattività osservata fornisca almeno un livello di immunità preesistente a Sars-CoV-2. “Data la gravità della pandemia di Covid-19 in corso, – afferma la ricercatrice Shane Cotty – qualsiasi grado di immunità cross-reattiva al coronavirus potrebbe avere un impatto sostanziale sul decorso complessivo della pandemia ed è un dettaglio chiave da considerare per gli epidemiologi mentre cercano di capire quanto severamente Covid-19 influenzerà le comunità nei prossimi mesi”.

Al momento la ricerca è assolutamente parziale, ma “il risultato è certamente interessante e va approfondito”, commenta Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi di Milano.

Un risultato che potrebbe finanche spiegare il motivo per il quale i bambini sembrino più protetti dal coronavirus, in quanto più esposti ai raffreddori rispetto agli adulti. Come potrebbe chiarire perché alcuni si ammalano in modo più grave di altri, al netto di patologie pregresse.

Si tratta, in ogni caso, di “un’ottima notizia” secondo il biologo Enrico Bucci, ricercatore in Biochimica e Biologia molecolare e professore alla Temple University di Philadelphia. “I soggetti esposti al virus – ha commentato su Facebook in un post ripreso dal CorSera – montano una robusta risposta immune, che permane dopo l’infezione, di tipo T. Una parte di soggetti mai esposti al virus è ‘preimmunizzata’, probabilmente a causa dell’incontro con altri coronavirus comuni. Adesso, però, prima che stappate lo champagne, ecco i limiti di questo studio ed alcune altre considerazioni: il campione è molto piccolo; la percentuale di popolazione che può essere ‘preimmunizzata’ non è quindi necessariamente del 50%, ma potrebbe essere molto più piccola (o più grande); il fatto che esistano soggetti le cui cellule T sono in grado di riconoscere il virus, pur non essendo mai stati esposti ad essi, non vuol dire che quei soggetti non svilupperanno sintomi, anche se magari saranno più deboli. Potenzialmente, se vi è cross-reattività tra coronavirus, l’epidemiologia su base sierologica va a farsi benedire, perché, oltre a cellule T, vi potrebbero essere anche anticorpi cross-reattivi (il significato dei test cambia, e diventa solo immunologico); lo studio va replicato al più presto (su base anche più ampia)”.

 

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Alessandra

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