Cassa integrazione Covid: si cambia. Ecco il nuovo piano del governo

Previsto un amplimento del sostegno di altre 18 settimane ma non per tutte le aziende. Per quelle che non rientrano nei paletti ci sarà doppia opzione: pagare parte della cassa o prendere incentivi


È il perno della strategia economica anti virus del governo, ma ora rischia di trasformarsi in un boomerang e di fare male al Paese.

Perché, come spiega il giornalista Giuseppe Colombo in un articolo pubblicato su Huffingtonpost, la cassa integrazione Covid, quella che ha tenuto a galla milioni di aziende e di lavoratori da quando è scoppiata la pandemia, rischia di imporsi come modello stabile. E questa cristallizzazione si traduce in lavoratori che non hanno uno stipendio pieno, in aziende chiuse e fatturati che non decollano, nel rischio di trasformare il galleggiante della cassa in licenziamenti. Perciò si cambia.

La riforma del governo è quasi pronta. Huffpost la anticipa partendo dalla regola che farà da base: le aziende che potranno accedere alla cassa Covid alle condizioni attuali saranno solo quelle che avranno registrato un calo del fatturato pari ad almeno il 20 per cento.

Il piano punta a disincentivare il ricorso alla cassa integrazione. Il rischio è infatti quello di tenere il mondo del lavoro in bagnomaria e di rallentare la già impervia risalita per uscire dalla crisi. Il nuovo meccanismo entrerà in campo con la manovra di agosto dove saranno previste altre 18 settimane di cassa integrazione Covid, che si aggiungeranno alle 18 già in campo (nove sono state previste con il Cura Italia di marzo e altre nove sono state aggiunte dopo). In questo modo la coperta si allungherà fino all’autunno inoltrato, ma i paletti per l’accesso hanno l’obiettivo di sfoltire il numero delle domande che le aziende inviano all’Inps per ottenere la cassa in favore dei propri dipendenti.

A queste diciotto nuove settimane, che saranno articolate in uno schema di 9+9, potranno accedere solo le aziende che hanno già usufruito delle diciotto settimane in essere. Ce ne sono parecchie perché le domande possono riferirsi anche a periodi retroattivi e ci sono ad esempio aziende che hanno iniziato a usufruire delle prime nove settimane di cassa Covid (quelle messe in campo dal Cura Italia del 17 marzo) già per periodi a partire dal 21 febbraio. Ci sono altre aziende che non hanno ancora utilizzato tutte le diciotto settimane, ma la prospettiva è comunque quella di cambiare corso per le nuove diciotto. Le aziende che avranno registrato un calo del fatturato del 20% o superiore potranno usufruire delle diciotto settimane aggiuntive alle stese condizioni attuali. Il che significa che la cassa integrazione continuerà a pagarla lo Stato, attraverso l’Inps. Condizioni super agevolate per le imprese dato che la cassa Covid presenta tutta una serie di vantaggi che non ha la cassa tradizionale. Per esempio non va pagato il contributo addizionale, le settimane di cassa Covid non si sommano alle settimane di cassa integrazione ordinaria che può durare fino a un anno. E poi ancora non è richiesta l’anzianità di 90 giorni dei lavoratori. Questo carattere eccezionale e vantaggioso l’ha portato con sé la crisi sanitaria, che ha stravolto il perimetro della classica crisi aziendale.

Qualora il calo del fatturato dell’azienda fosse inferiore al 20%, si aprirebbe un doppio binario. Il disincentivo al ricorso alla cassa integrazione si colloca qui.

In questo caso, infatti, l’azienda può scegliere di continuare a chiedere la cassa fino a 18 nuove settimane, ma deve contribuire a pagare la cassa al lavoratore insieme all’Inps. In pratica, in percentuale, deve autofinanziarsi la cassa: una parte continuerà a metterla l’Inps, un’altra l’azienda. Il tutto sarà inserito in un sistema a scalini: se l’azienda ha perso ad esempio il 19% pagherà di meno di un’azienda che ha perso il 5 per cento. L’alternativa – e qui il governo spera di attivare un meccanismo capace di invertire il trend in corso – è un esonero contributivo, quello che comunemente viene chiamato decontribuzione. Altro non è che uno sgravio dei contributi dovuti sulle retribuzioni dei lavoratori. In pratica le aziende non dovrebbero versare più la loro parte di contributi (una piccolissima percentuale è a carico del lavoratore) all’Inps. In questo modo si abbatte il costo del lavoro che grava sulle imprese. La condizione, però, è che i dipendenti siano messi a lavoro.

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