HomeNotizieCULTURA & SPETTACOLICelestino V e la leggenda del chiodo

Celestino V e la leggenda del chiodo

La causa di morte del ‘Santone’ è avvolta nel mistero


di Alessandra Gioielli

Uno dei misteri nati intorno alla figura di Pietro Angelerio da Isernia è quello della sua morte che, ufficialmente, avvenne per causa naturale; ma già Brunetto Latini, in una ‘cronaca’ di poco attendibile attribuzione, scrisse che Bonifacio VIII «fece secretamente pigliare papa Celestino […] et fecelo istrangolare». Il dubbio di una morte procurata alimentò numerose voci; sarebbe così nata quella che è conosciuta come la leggenda del chiodo, una vicenda mitica che è stata ampiamente analizzata nel 1927 da Giovanni Pansa, ai cui studi mi rapporto ampiamente per riesaminare alcuni elementi fondamentali per la comprensione della genesi di tale supposizione metastorica.

Di quale leggenda si tratta? È da secoli che si parla di un evidente foro nel cranio di Celestino V, apertura causata, secondo alcuni, da un chiodo conficcato nella testa del Papa per ucciderlo. Morte violenta, quindi, e non naturale. Il 29 agosto 1888, cinque medici (Luigi Gualdi, Virginio Pensuti, Giacomo Crespi, Alfonso Torti, Giovanni Silenzi) sottoposero ad esame il sacro teschio. Ecco l’esito dell’esame come si legge nel loro ‘verbale osteologico’:

«Nel punto più sporgente della bozza frontale sinistra, a livello della metà del margine sopra orbitale, distante da esso circa cm quattro, esiste un forame rettangolare, a margini netti, senza nessuna lesione ossea circostante. Il lato orizzontale del rettangolo misura circa mm cinque; l’altro, verticale, circa nove mm. Il forame, penetrante in cavità, lascia nettamente distinguere i tre strati cranici, tavolato esterno, diploe, tavolato interno. La superficie di frattura è alquanto più chiara della superficie esterna del cranio. I sottoscritti, in base a questi fatti, esattamente constatati, ritengono:

  1. 1. Che l’origine della suddescritta lesione non possa menomamente essere accidentale, ma sia da ripetere dalla mano dell’uomo col sussidio di un adatto strumento.
  2. 2. Che nella ipotesi che tale strumento sia un chiodo di forma comune, il tratto di esso penetrato in cavità abbia a valutarsi di circa cm cinque».

Dimostrare, sulla base d’un pur sì fatto foro, che Celestino V venne ucciso per mezzo d’un chiodo che qualcuno gli conficcò nel cranio, è impresa impossibile. Quel chiodo e quel buco sembrano convincentemente essere solo la causa e l’effetto attraverso cui generare un mithos. Nulla più. Moltissime congetture sono state costruite intorno alla ‘storiella’, al fine di dimostrare l’indimostrabile. A favore di coloro che hanno ritenuto probabile o possibile il martirio del chiodo, è stato invocato anche un documento iconografico molisano. Si tratta d’una pinctura antiquissima che secondo talune fonti sarebbe stata presente nella chiesa di Santa Maria a Maiella, eretta in Agnone nel XIII secolo.

In questa chiesa agnonese, secondo il Digestum scripturarum Coelestinae Congregationis, manoscritto di Ludovico Zanotto che colà s’era recato nel 1622, era visibile una imagines che ritraeva Celestino V «genuflesso e con un libro in mano, e davanti di lui una croce era posta sull’altare, e dietro di lui si vedeva un uomo che con una mano poneva sulla Sua testa, e propriamente sulla parte destra della testa, un chiodo [clavum], mentre nell’altra mano l’uomo reggeva un martello [malleum] nell’atto di percuotere». Come si noterà, la scena dipinta raffigurava proprio l’episodio tramandato dalla ‘leggenda del chiodo’. Secondo Zanotto, l’immagine era precedente al 1450, pertanto il mito del martyrium clavi sarebbe davvero remoto. A margine dell’antiqua pinctura, inoltre, si leggeva anche la seguente scritta in volgare: «Quando lu nepote de papa Bonifacio andò al Confessore per lo ammazzare». Per cui, secondo tale dicitura, il sicario di Bonifacio VIII fu un suo nipote (o comunque qualcuno che richiamava l’idea del ‘nepotismo’). Purtroppo la pittura segnalata da Zanotto è andata distrutta, così come tutta l’originaria struttura della chiesa di Sancta Maria ad Maiellam. Ma è ovvio che l’opera non dimostrava nulla, se non che il suo autore conosceva la vicenda leggendaria. Né, tanto meno, dimostrano inconfutabilmente alcunché le altre fonti letterarie o archivistiche citate nei secoli a supporto della tesi del martirio, fonti che sono ormai numerose, alcune anche recenti.

 

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