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Il ‘principe ranocchio’ di Roccamandolfi: l’ululone appenninico

La ricerca tra favola e realtà di alcuni studiosi molisani sul simpatico anfibio


di Lorenzo De Lisio*

ROCCAMANDOLFI. La favola racconta che fosse un bellissimo principe quando l’invidia di una strega lo trasformò in un orribile rospo. Sentendo la fiaba, ho sempre immaginato che il principe fosse alto, biondo e con gli occhi azzurri e tutto d’un tratto abbia assunto un corpo appiattito e verrucoso dal colore bruno – grigio. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di baciarlo? A questo penso quando cerco quello che immagino sia il principe ranocchio delle favole.

Matese, prati, boschi e natura fantastica, in parte protetta dalla Riserva naturale Torrente Callora di Roccamandolfi. Qui si possono incontrare molte specie di animali, alcune che richiamano paure ataviche come il lupo, cacciatore infaticabile e amico della notte. Altre più elusive che solleticano la nostra fantasia e la voglia di scovarle, il gatto selvatico e l’ululone appenninico. E proprio questa specie è stata per un giorno l’oggetto della ricerca. Io e Noemi D’Ancona, partiti da Campobasso, ne siamo andati alla ricerca in compagnia di Luigi Del Riccio, ospite cordiale, e del padrone di casa di Roccamandolfi, Il sindaco Giacomo Lombardi.

Ci siamo inoltrati alla ricerca di quegli ambienti acquatici prediletti dall’ululone; ruscelli di fondovalle, stagni fangosi anche piccoli (fossi, pozze) e abbeveratoi. Lo si ritrova a sud del Po, lungo tutta la dorsale appenninica sino alla Calabria. È molto raro in pianura, le popolazioni più abbondanti sono in zone di collina o montagna ed è considerato un endemismo italiano. L’ululone appenninico (Bombina pachypus) è un piccolo anfibio (4-5 cm) dal corpo appiattito, bruno-grigio e verrucoso sul dorso e nero lucido (o azzurro intenso) macchiettato di giallo brillante sull’addome. Il colore giallo è una livrea che lo difende dai predatori: quando si sente minacciato e la fuga non è possibile inarca il dorso e volta gli arti posteriori verso l’alto per mostrare i suoi colori appariscenti, mentre la pelle secerne un liquido irritante che allontana i predatori. Gli zoologi, per questo, la definiscono colorazione aposematica, cioè di avvertimento. Ma, dopotutto, l’ululone è innocuo, si nutre di piccoli insetti, molluschi e vermi; passa l’inverno in letargo, infossato nel fango del fondo.

L’ululone non ha un sacco vocale come le rane: per questo il suo verso è basso e addirittura musicale. Di notte è possibile udire il malinconico richiamo ritmico, tipico del maschio, che lo usa per segnalare la propria presenza e richiamare le femmine. A volte si odono i richiami di più maschi contemporaneamente; sembra che ululi da qui il nome. L’ululone come altri anfibi è minacciato dalle trasformazioni del territorio: bonifiche, canalizzazioni, inquinamento. Ma perché scompare anche dagli ambienti incontaminati? Sembra che un fungo parassita “Batrachochytrium dendrobatidis” li stia minacciando, come sostengono gli esperti. Il suo areale di distribuzione si sta restringendo ed è sempre più difficile incontralo. Arrivati sul posto gli ululoni erano lì a prendere il sole, immobili, con il muso arrotondato e gli occhi così particolari con le pupille a forma di cuore.

La sua presenza, considerata importante a livello europeo, rende preziosa la biodiversità della montagna di Roccamandolfi. Ma non è l’unico anfibio da scoprire e proteggere su questa montagna, infatti, è in compagnia del tritone crestato (Triturus cristatus) e del tritone italiano (Lissotriton italicus), altre due specie di interesse conservazionistico. Luoghi preziosi, ricchi di flora e fauna, come la montagna di Roccamandolfi, vanno conosciuti e valorizzati preservandone l’integrità.

*Dottore in Scienze Naturali

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