HomeOcchi PuntatiCoronavirus, l’infettivologo Bassetti: “Viviamo la coda della prima ondata”

Coronavirus, l’infettivologo Bassetti: “Viviamo la coda della prima ondata”

Al momento nessuna emergenza sanitaria. Le considerazioni del direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova


I numeri non descrivono un’emergenza sanitaria ospedaliera in atto. Ciò che l’Italia sta affrontando oggi può essere considerata piuttosto la coda della prima ondata di Covid. Di questo avviso si dice Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, intervistato da Valentina Stella per Il Dubbio.

“Non siamo in presenza di un mare calmo come a luglio ed agosto, – afferma – si è increspato, agitato ma non siamo davanti allo tsunami vissuto nella primavera scorsa”.

Di qui il commento sui dati dei contagi: “Più che di seconda ondata parlerei di coda della prima ondata, che si è rialzata portando un gran numero di contagiati asintomatici o poco sintomatici. La percentuale di ricoveri sul totale dei contagiati – prosegue Bassetti – è comunque sempre circa del 5% e quelli in terapia intensiva intorno allo 0,5%. Parliamo di una fettina piccola anche se, indubbiamente, oggi gli ospedali hanno dovuto riattrezzare i reparti Covid e una circolazione della malattia è più alta rispetto all’estate. D’altronde facendo così tanti tamponi (circa 110.000 al giorno) è normale trovarsi quotidianamente con il 2% di positivi. Questi 2000 positivi pongono un problema anche di tipo gestionale perché devono essere isolati; se qualcuno non ha una casa dove essere isolato che soluzione alternativa c’è? L’ospedale, e quindi soprattutto le persone anziane devono essere curate lì perché hanno già patologie pregresse. Tutto ciò alla fine riesce a creare una pressione sul Sistema Sanitario Nazionale, pur non avendo casi così imponenti come a marzo e aprile, quando su 100 positivi 30 avevano bisogno di andare in ospedale, 15 in rianimazione”.

L’infettivologo dice poi la sua sui test rapidi a scuola e sul mondo del calcio. Nel primo caso ritiene che i test rapidi abbiano un senso per scovare in pochi minuti uno studente asintomatico ma – sostiene – “ci vorrebbe un medico per farli ed interpretarli”, con investimenti sulla medicina scolastica.
Nel secondo caso, evidenziando la necessità dell’effettuazione di test “in maniera dinamica”, considera la presenza di mille persone in uno stadio da ottantamila posti non un problema. Tuttavia, – conclude – il calcio per il Paese non rappresenta una priorità. I settori che “devono essere mantenuti nella massima sicurezza sono: lavoro, scuola e salute”.

 

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