Categories: CRONACA

‘Nel nome del padre’, dentro il delitto

L’analisi dell’episodio di cronaca avvenuto nella bergamasca


D.ssa R. Francesca Capozza*

Sabato 2 gennaio 2021, Brembo, frazione di Dalmine in provincia di Bergamo. Il corpo senza vita di un uomo viene trovato nel cortile della sua abitazione, dove si trova anche il ristorante di proprietà “Il Carroccio”. Appartiene a Franco Colleoni 68enne, in passato segretario provinciale della Lega di Bergamo nonché assessore provinciale tra il 1995 e il 1999. È stato il figlio Francesco 34enne ad aprire il cancellino che dalla strada introduce alla corte e trovare in fondo al sentiero che porta alla trattoria il corpo senza vita del padre. L’uomo riferisce di aver avvisato il 112, la madre e il fratello Federico che vive nella stessa via. Il cadavere presentava la testa e il volto fracassati da diversi colpi di un corpo contundente, motivo per cui negli inquirenti si profila quanto mai l’ipotesi di omicidio. Il “Carroccio” è al pianterreno di una cascina in cui si trova, al piano superiore, la sua abitazione e in cui c’è anche quella della ex moglie Tiziana Ferrari e quella del figlio Francesco. La casa della vittima era completamente a soqquadro. Un tentativo di rapina quindi, si potrebbe pensare, finito male, ma non mancavano denaro o oggetti di valore né dalla casa né dal ristorante. Proprio le modalità dell’aggressione hanno fatto perdere importanza a tale pista, insieme al fatto che nessuno dei vicini ha visto o sentito niente, né i cani hanno abbaiato. Si pensa quindi che a scatenare l’assassino sia stato qualcosa legato alla vita personale di Franco Colleoni. Il luogo del ritrovamento infatti fornisce già informazioni indicando una dimensione psichica a metà tra gli affetti familiari ed i rapporti lavorativi. Le numerose ferite alla testa, la ferocia con cui l’assassino si è accanito sul corpo della vittima fanno propendere infatti verso uno scenario completamente differente dalla rapina. Qualcosa di passionale (inteso come coinvolgimento emotivo-affettivo) e non di “freddo” e accidentale. Troppi e troppo violenti appaiono i colpi sul cadavere per non far pensare a motivi personali, a un delitto d’impeto innescato da risentimenti profondi. Gli inquirenti interrogano quindi i familiari e di lì a poco giunge infatti la svolta, la confessione del figlio Francesco in merito ad un violento litigio avvenuto appunto sul posto. Non dice altro però Francesco, riferisce infatti di non ricordare cosa sia accaduto dopo. Ma lo staging, ovvero il camuffamento della scena del crimine per mascherare il reato, stride con lo stato confusionale e post amnesico asserito dal giovane. Padre e figlio gestivano insieme il ristorante di famiglia, Francesco ne era lo chef. Al culmine di una discussione avrebbero avuto una colluttazione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Francesco avrebbe percosso violentemente il padre facendolo cadere a terra e facendogli sbattere più volte la testa su una pietra del cortile. “C’erano delle incongruenze nel racconto del figlio sulla ricostruzione delle ultime ore, siamo partiti da lì, dopo la verifica delle telecamere della zona che non hanno ripreso alcun rapinatore in fuga. Abbiamo compreso che l’omicidio si era consumato nel cortile di quella corte e l’assassino era lì” dichiara Il tenente colonnello Davide Giannì. L’evento violento sarebbe sfociato dopo l’ennesima lite sulla gestione della trattoria e le parole dei dipendenti del ristorante, che hanno sottolineato le tante discussioni tra padre e figlio, hanno corroborato l’indirizzo da dare alle indagini. “Francesco ammette la colluttazione prima a mani nude e poi con delle pietre” aggiunge il tenente colonnello, “Non c’è stato nessun pianto”.
La modalità violenta e quanto mai corporea rimanda alla portata emotiva, devastante e disperante di un omicidio tutto familiare. Un parricidio: l’evento delittuoso più arcaico e feroce che si annida nel legame genitoriale percepito dall’autore come vincolante, asfissiante, coercitivo rispetto ai propri desideri di emancipazione psicologica e materiale. Il padre ucciso dal figlio maschio racconta dello stridore dei contrasti di ruoli che non riescono a delinearsi nei propri confini. Ed il delitto si configura come «liberatorio», come rimozione di ciò che è percepito come un ostacolo al raggiungimento o conservazione della propria autonomia e felicità. Dalle prime informazioni e ricostruzioni tale delitto sembra inserirsi nell’area psicodinamica della normalità e nello specifico nella categoria dei «litigiosi» ovvero di giovani che uccidono, a volte preterintenzionalmente, un genitore al culmine di feroci dissidi; sono delitti che maturano in un clima relazionale già litigioso in cui si bisticcia di continuo e violentemente per motivi economici, di incompatibilità caratteriale, per impulsività, e iper-reattività.
Francesco non ha pianto, la sua emotività si era già esaurita in maniera totalizzante quella mattina culminata concitatamente in tragedia. Francesco non aveva parole per narrare a se stesso e al mondo quanto il legame primigenio, il più intimo e forte, e le difficoltà esacerbanti con cui lo ha vissuto gli abbiano permesso di fare. Il suo più importante compito sarà trovare le parole per dirlo, per dirselo. Ora il giovane è nel carcere di Bergamo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

 

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Alessandra

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