L’odissea di Chiara: “Così da Roma mi sono ‘ripresa’ mio padre”

Dal Molise solo sporadici e spontanei aiuti al padre e al fratello malati di Covid a Campobasso. Ora il papà è ricoverato in una struttura romana: “In Molise situazione drammatica, voglio denunciare pubblicamente quanto mi è successo”


di Maurizio Cavaliere

CAMPOBASSO. Una nuova pagina di sofferenza e (stra)ordinaria malasanità o malagestione della pandemia è stata scritta negli ultimi giorni della ormai lunghissima vicenda Covid. Sono parole che pesano quelle di Chiara Cavalieri, attrice campobassana che vive a Roma. Pesanti perché prive di retorica, come spesso avviene quando si racconta la storia che riguarda un familiare (in questo caso due) che lotta contro questo tremendo virus e non solo contro quello.

La denuncia di Chiara avviene via facebook. Tagga anche noi, che raccogliamo subito la sua testimonianza diretta, preziosa per capire, importante per denunciare.

Il papà di Chiara e il fratello, un po’ più grande di lei, si sono ammalati di Covid da alcuni giorni, primi sintomi sabato scorso. Vivono a Campobasso, non lontano dal centro. Chiara capisce che potrebbe essere stato il virus a colpire, ma per arrivare al tampone molecolare passano giorni, che per lei che è a Roma, sono un calvario. Chiama il medico di famiglia: “Mi dice che è una semplice influenza e che, se facesse lui le richieste, ci vorrebbero giorni per farlo”. Chiama quindi un amico infermiere che provvede a fare un tampone rapido (costo 65 euro) che risulta positivo. Manca però la conferma del molecolare e nessuno a Campobasso può aiutarla. Il fratello è infatti a letto, stordito pure lui dal Covid, e certamente il papà, chè è anziano, diabetico, cardiopatico e ha la febbre, non può esserle d’aiuto, ci mancherebbe altro. Chiara chiama i numeri regionali di riferimento, spesso non riceve risposta, e naufraga proprio dove avrebbe dovuto trovare una sponda cui aggrapparsi e cioè nei meccanismi di una piattaforma che in quel momento per lei è inservibile. I contatti con il medico di famiglia sono ancora infruttuosi, Chiara perde la pazienza ed è ancora una volta un’amica che riesce a sostenere il suo sforzo immane.

“Riesco a mettere mio padre nella lista Asl per fare il tampone molecolare e quando gli infermieri arrivano a casa si accorgono che mio fratello, debilitato a letto, non è nella lista, quindi si attivano spontaneamente per fare il tampone anche a lui. Li ringrazio infinitamente, per questo. L’indomani mio padre inizia ad avere la saturazione bassa, a 87”. L’odissea continua. “Chiamiamo il 118 che dice che non si può fare nulla e bisogna chiamare il medico di famiglia il quale dice di chiamare proprio il 118 che, dopo insistenze varie, decide di andare a casa dai miei. Misurano la saturazione a mio padre che è a 90. Dicono che per loro i parametri sono buoni, che non c’è bisogno di ricovero, ma a 90 con quelle patologie per me non sono buoni per niente, non mi serve una laurea in medicina per capirlo”.

I sanitari prescrivono alcune medicine e l’ossigeno. Stavolta la missione impossibile è trovare una bombola: “C’è una carenza di bombole assurda – prosegue – ma sempre grazie ad amiche riesco a procurarla (e la povera mia cugina se l’è dovuta pure caricare a mano e portarla a casa). Papà continua a saturare poco ma senza il risultato del molecolare non abbiamo la certezza di cosa fare. Dato che ha pure un po’ di demenza, papà ogni tanto si dimentica di avere il Covid e l’affanno e si vuole mettere le scarpe per uscire. Quindi tutto ciò è intervallato con le telefonate a mio padre nelle quali gli dico ‘papà, hai il Covid, non puoi uscire”.

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E’ di nuovo tramite un’amica, stavolta un’infermiera di Roma, che Chiara riesce a far dosare l’ossigeno in maniera consona “dato che nessuno ci aveva detto a quanto doveva essere tarato. Il tutto sempre a telefono, attraverso video, foto e whatsapp con mio fratello ridotto come un bradipo in salamoia sul letto (per fortuna Chiara non perde l’ironia che fa parte del suo repertorio di donna arguta e simpatica, ndr), che doveva pure accudire papà e pensare all’ossigeno. Capite bene che una situazione così è insostenibile per loro e per me con l’ansia che ormai mi era salita a mille”.

“Non si può lasciare un paziente con demenza in casa che non so nemmeno se riesce a prendere tutte le medicine e che va monitorato con ossigeno – spiega Chiara – insieme ad un altro paziente che è stato travolto da un camion e evidentemente non può stargli dietro. Cerco allora infermieri privati disposti ad andare a casa, ma tutti sono oberati e non potrebbero stare se non per pochissimo tempo. Leggo intanto sul giornale che gli ospedali in Molise sono saturi, che stanno allestendo ospedali da campo, che stanno trasferendo pazienti in elicottero in altri ospedali in Italia. Inizio allora la trafila di telefonate e trovo un posto per mio padre in una struttura Covid a Roma: senza amici sia chiaro, ogni tanto le cose funzionano. Parlo con il direttore della struttura, gentilissimo e disponibilissimo, finalmente, e mi dice che è necessario accertare la positività del molecolare e che in tal caso mio padre ha assoluta precedenza essendo un soggetto a rischio ed è bene evitare che peggiori prima che sia troppo tardi, avendo saturazione abbastanza bassa. Mi dice però che c’è bisogno che sia visitato perché tocca appurare che possa affrontare un viaggio in ambulanza così lungo”.

“Nel frattempo arriva il risultato dei molecolari: papà e mio fratello sono positivi. Chiamo la struttura a Roma e per loro è ok. Mio padre è ben accetto. Mi metto a cercare un’ambulanza (ovviamente privata e quindi a pagamento) che possa portare mio padre a Roma in giornata. Altre 9.560 telefonate tra preventivi, ‘no, noi i pazienti Covid non li trasportiamo’, ‘signora va bene sono… settordici miliardi di euro da pagare in gettoni d’oro’, ‘signora c’è bisogno che insieme a suo padre salga anche il capitan Spock perché allestiremo una navicella spaziale per l’occasione’”.

Chiara ritrova ancora un momento di humor. Riesce a entrare in contatto con l’Usca: “Gli operatori sono stati super efficienti e carini e si sono meravigliati di non essere stati contattati prima. Sono corsi a visitare papà e mio fratello e gli hanno fatto questo foglio di ‘trasportabilità’. Trovo anche l’ambulanza, attrezzata per tutto, con personale gentilissimo. Spiego loro che mio padre va in confusione spesso e volentieri e sono stati così carini da dirgli che stava andando a fare una visita e poi piano piano gli hanno detto che stava venendo a Roma. Finalmente arrivano. Non ho potuto vedere papà, ma ho gridato come una matta mentre l’ambulanza passava”.

“La struttura è bella, nuova e per niente desolante come altri ospedali. Pago gli operatori dell’ambulanza e tiro un sospiro di sollievo rendendomi conto in quel momento che sto vivendo da giorni in un film. Ma un film di quelli brutti. Di quelli surreali che quando li vedi ti viene da dire: “Ma come ca.. gli è venuto in mente a questi di scrive ‘sta roba?”.

Il finale non è ancora scritto, ma Chiara ha ripreso a respirare dopo giorni di apnea. Guardandola arrivare, quell’ambulanza da Campobasso deve averle procurato un’emozione che forse neanche decine di anni di teatro le hanno regalato.

“So che ancora non è finita, ma so che senza i miei amici molte cose non le avrei fatte. Che senza servizi privati a pagamento non avrei fatto così in fretta. E penso che una persona sola e magari con poca disponibilità economica non può far nulla. Siamo in balia delle competenze della gente che a volte ci sono e a volte no, siamo in balia della gentilezza delle persone che a volte capita a volte no, siamo anche in balia di noi stessi che non sempre abbiamo la lucidità per affrontare tutto. Solo chi vive il Covid da vicino sa cosa sta succedendo. La spirale infernale che travolge tutto. Il Molise è a terra e scrivo tutto ciò per dirlo pubblicamente. La situazione è davvero drammatica. Io lo capisco che ci mancano le nostre vite, che ci mancano gli aperitivi fuori, ma ragazzi: stiamo in campana. La situazione non sta migliorando. Affatto. Ora prego solo che ‘sto film brutto finisca il più presto possibile. Comunque il mio telefono si è squagliato come l’orologio di Dalì”.

Ancora lucida e se stessa, per fortuna, dopo un’odissea tipica di questi giorni. Forza Chiara, tieni duro.

 

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