Per i firmatari della denuncia depositata al tribunale di Larino, un mese di zona rossa in basso Molise non ha portato a nessun risultato anche perché nel frattempo solo alcune attività produttive sono state fermate, mentre i grossi stabilimenti industriali continuano ad operare, mettendo a rischio la salute di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie
TERMOLI. Da circa un mese il basso Molise è in zona rossa ma la drammatica escalation di morti, ricoveri e contagi non accenna a frenare.
Nonostante i sacrifici imposti alle famiglie e agli studenti con la sospensione delle attività didattiche in presenza, all’istituzione della zona rossa non sono seguite uguali restrizioni anche per le attività produttive (non essenziali) che operano sul territorio e in particolare nel Consorzio industriale della valle del Biferno, a partire dallo stabilimento Fca di Termoli.
Per questo, dopo numerose sollecitazioni rivolte in particolare al prefetto di Campobasso, nella giornata di ieri esponenti politici, tra cui il segretario regionale di Rifondazione Comunista, Pasquale Sisto, associazioni e sindacati di base, hanno depositato alla Procura della Repubblica di Larino, un esposto-denuncia contro la mancata chiusura di tutte le attività produttive non essenziali come preannunciato nella diffida al prefetto del 24 febbraio scorso.
Per i firmatari dell’esposto denuncia “appare inconcepibile che i provvedimenti emergenziali fin qui emanati, da ultimo l’ordinanza del presidente della giunta Regionale istitutiva della zona rossa per i Comuni ricompresi nel distretto sanitario di Termoli, non abbiano tenuto nella debita considerazione la pericolosissima situazione dei lavoratori delle fabbriche della zona industriale di Termoli nonché dei lavoratori che viaggiano dal Basso Molise verso la regione Abruzzo per recarsi presso il proprio posto di lavoro”.
“Appare assurdo e contraddittorio – accusa Pasquale Sisto – che nello stesso tempo in cui si dispone la chiusura di gran parte delle attività commerciali, le fabbriche continuino a produrre, evidentemente considerando i lavoratori immuni dal virus o, ancora peggio, sacrificabili in nome del profitto”.
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