Un anno fa le accuse di ‘untore’, la storia di Marco non è ancora finita

Diffamato e minacciato a causa di un audio diventato virale che lo accusava ingiustamente di essere stato vettore del contagio, lo studente è ancora provato da quella vicenda. Lui ha sporto denuncia, un’indagine sta facendo luce su quanto accaduto.


di Maurizio Cavaliere

CAMPOBASSO. Era il 10 marzo 2020, esattamente un anno fa. Marco, studente universitario campobassano e volontario della Croce Rossa Italiana, da una settimana è tornato da Milano dove era arrivato tre giorni prima, fine febbraio. Quel giorno ha inizio la sua veloce ma scioccante disavventura, tipica di questi tempi intrisi di rabbia e violenza verbale, che gli costerà tanto sul piano psicofisico e non solo.

Il 4 marzo Marco (nome di fantasia) era stato indicato tra i volontari che avrebbero dovuto gestire, insieme ad altri componenti  Cri, la Sala operativa della Croce Rossa, con sede in via Conte Verde, istituita lo stesso giorno per partecipare, in prima linea, nella lotta al Covid. Una notizia importante per uno che fa il volontario.

Siamo alla vigilia della piena emergenza pandemica. Il Covid sta uccidendo decine di ricoverati, soprattutto al Nord. Il Paese entra il lockdown totale il 9 marzo mentre la Lombardia, dove il coronavirus sta facendo una strage, è ‘chiusa’ già dal 7. Sono giorni di fuoco, il mondo è in piena psicosi perché nessuno sembra sapere cosa fare, neanche gli scienziati, men che meno i governanti. E’ un disorientamento planetario nel quale si insinuano le singole paure.

Il 10 marzo Marco accusa una forte tachicardia. La persistenza dei battiti accelerati lo induce a recarsi in ospedale per approfondire. Il ragazzo ha pure qualche linea di febbre per cui preferisce ricorrere all’assistenza medica e avere maggiori certezze. Non può saperlo ancora, ma il virus è già nel suo corpo e sta minacciando il cuore. I sanitari del ‘Cardarelli’ procedono subito con il tampone che viene eseguito quella stessa notte e processato all’indomani, risultato: positivo. Marco viene ricoverato, ma è comunque in buone condizioni.

Ora, prima di addentrarci nel capitolo più drammatico della sua vicenda, bisogna contestualizzare quei giorni in Molise. La situazione in regione sembra ancora sotto controllo sul piano dei contagi, ma non è così. Non funziona ancora bene il sistema di tracciamento e ci sono già centinaia di casi sospetti su cui però non si approfondisce. Numeri verdi e sanitari invitano esclusivamente a restare isolati, a casa. E’ ancora difficile capire cosa fare: uno scenario inedito, le strategie sono alla giornata, le cure ancora ipotesi e per alcuni, purtroppo, non si interviene tempestivamente.

Torniamo a Marco. La notizia della sua positività rimbalza fuori dal nosocomio come una pallina impazzita, così come quella del suo viaggio di dieci giorni prima a Milano. Col tempo il giovane saprà che il contagio è avvenuto il 6 marzo a Campobasso, per il contatto stretto con un positivo.

Ma a essere diffuse sono le altre notizie. Gira pure un audio whatsapp che proviene da un soggetto che lascia intendere di lavorare al ‘Cardarelli’ e secondo il quale Marco “avrebbe tenuto condotte particolari prima del ricovero, tali da determinare una diffusione del virus assolutamente incontrollabile”. Il virgolettato si riferisce all’audio che gira e viene fuori da una puntuale ricostruzione diffusa il 12 marzo dal Procuratore di Campobasso Nicola D’Angelo.

Tuttavia, il giorno prima l’effetto mediatico dell’audio e delle altre notizie, come una bomba atomica, aveva già fatto danni irreparabili. Succede tutto in poche ore: accertamenti, ricovero, tampone, positività e deflagrazione mediatica. E’ un vortice impietoso che colpisce il giovane campobassano il quale maledice non solo il giorno in cui è andato a Milano (avrebbe potuto evitarlo?) ma pure il momento in cui ha contattato il numero Covid rilasciato dall’Asrem. Sono ore drammatiche per lui: lo strato di privacy, che dovrebbe preservare da possibili effetti collaterali in situazioni simili, è stato squarciato. Tutta la città, anche attraverso l’eco di alcuni media, sa che Marco è stato a Milano, che ha ‘bazzicato’ in numerosi locali di Campobasso (notizia falsa) e che poi è risultato positivo. Lui è in ospedale e ci rimarrà una settimana.

Il primo giorno di ricovero viene subissato di offese, diffamato ovunque online, chi più chi meno affonda la lama. Marco è costretto a sospendere il suo account facebook, che sembra un campo di guerra. D’altronde, la gente è piena di rabbia e i media, pure loro, accentuano il disagio sociale. Marco è alla gogna dei social, ma più che un regolare processo, è vittima di nuova moderna Santa inquisizione. Non ci sono diritti, nè filtri, nè ragionevole durata: solo la sua pubblica, fulminante esecuzione mediatica. Accuse di ogni genere, Marco è diffamato da diverse persone e alcuni passano allo stadio successivo: la minaccia.

Accuse false, però, come riporta Nicola D’Angelo nella nota del 12 marzo. Così scrive il Procuratore: “Avuto notizia dell’accaduto, delegavo il Nas Carabinieri per effettuare i doverosi riscontri e già dai primi accertamenti emergeva l’assoluta falsità di tutta una serie di dati (diffusi) tra i quali: “Le tardive informazioni all’autorità sanitaria, la già accertata positività dei familiari, l’intervenuto ricovero della sorella, infine – e soprattutto – la frequentazione di ben cinque locali aperti al pubblico, comunemente noti per l’afflusso di persone”. Tutto falso, al punto che D’Angelo aggiunge che l’Autorità giudiziaria “sta procedendo alle attività necessarie a identificare l’autore del messaggio e agli altri ulteriori riscontri, potendosi configurare, a carico dell’autore, il reato di procurato allarme, art. 658 del Codice Penale. Di tale reato – si legge ancora nella nota della Procura della Repubblica del Tribunale campobassano – saranno chiamati a rispondere anche eventuali altri soggetti che, pur nella consapevolezza della non veridicità di quanto affermato, dovessero divulgare ulteriormente la predetta traccia audio”. E’ anche e soprattutto un monito quello di D’Angelo.

Sono parole chiare che smorzano l’effetto della bomba che ha investito Marco, il quale, tuttavia, per alcuni giorni continuerà a leggere cose piuttosto sgradevoli sul suo conto.

La questione dunque si ribalta, ma il danno è fatto. Lo studente universitario è ancora provato da quell’esperienza della quale, a un anno di distanza, preferisce non parlare, ma è ben contento che la storia di cui è stato vittima possa essere un esempio da citare alla voce: diritti, privacy violate e danni da social network. Marco ha denunciato chi, senza pietà e controllo, lo ha diffamato e minacciato, reati che potrebbero (sottolineiamo il condizionale) essere riscontrati in questa vicenda, così come quello, altrettanto grave, della diffusione di dati sensibili che attengono alla salute, ancora di più se le notizie diffuse, peraltro false, arrivano da chi opera nell’ambiente sanitario. C’è un indagine in corso che farà luce sull’accaduto.

Un anno dopo Marco sta bene, a giugno dovrebbe laurearsi in Medicina. Nel frattempo va avanti e chiede giustizia. Gli strascichi ci sono ancora ma, stavolta, non sono opera del maledetto Covid.

 

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