Dall’inchiesta della Procura di Roma emerge che il capoluogo pentro è una delle piazze dello spaccio a cui era destinata la marijuana. Cinquantacinque le persone arrestate. I corrieri venivano reclutati nei centri di accoglienza
ISERNIA. C’è anche Isernia tra le piazze dello spaccio a cui era destinata la marijuana al centro del patto di ferro tra albanesi e nigeriani. Lo ha portato alla luce una maxi inchiesta che ha consentito alla Procura di Roma di smantellare un’organizzazione criminale fondata sull’accordo tra il clan di Valona e quelli legati ai Black Cats e al gruppo Eiye.
Le indagini avviate nel 2018 hanno portato all’arresto di 55 persone: 27 albanesi, 23 nigeriani, 4 italiani e un gambiano.
“Un patto di ferro – scrive L’Espresso – blindato, per trasportare dall’Est Europa tonnellate di marijuana e, attraverso la Puglia, farla arrivare a Roma e da qui alle piazze di spaccio di mezza Italia, da Napoli a Brescia. Protagonisti due capi, per la procura i due vertici delle organizzazioni criminali: Bejaj Geraldo e Sule Momodu, entrambi poco più che trentenni, sconosciuti ai più, ma che reggevano le fila di questa strana organizzazione trasversale e blindata che ha gestito il traffico di droga in tutto il Paese”.
Nelle scorse settimane la procura di Roma guidata da Michele Prestipino, su richiesta del sostituta procuratrice Nadia Plastina che ha coordinato due anni di indagini dei carabinieri, e su provvedimenti avallati dal Gip Nicolò Marino, ha ottenuto gli arresti per gli appartenenti al patto nigeriano-albanese.
“Leggendo le migliaia di pagine di intercettazioni e pedinamenti e relazioni – evidenzia ancora L’Espresso – viene fuori come il traffico sia stato gestito da questo grande accordo. E al di là dei sequestri fatti durante gli arresti per un valore di circa 2 milioni di euro di stupefacenti, il sospetto, più che fondato, dei magistrati è che questa sia solo la punta dell’iceberg. Di certo c’è che attraverso questo accordo Sule Momodu, secondo la procura, avrebbe gestito il rifornimento delle piazze di spaccio non solo di Roma, ma a che di Brescia, Parma, Isernia e Napoli. Mentre Bejaj sarebbe stato il referente per gli invii non solo a Roma, ma anche per quelli verso Venezia, Verona e Firenze. Dopo due anni di indagine la stessa pm Plastina annota con stupore l’unicità di questa organizzazione che, pur attraversando e operando in territori simbolo delle mafie italiane, non sembra aver avuto alcun contatto con italiani legati alla criminalità organizzata”.
Secondo quanto accertato dagli inquirenti, il sistema di importazione e smercio è risultato essere efficiente e collaudato; tonnellate di marijuana arrivavano sulle coste pugliesi da Valona, in Albania. Qui la droga veniva confezionata sottovuoto, avvolta nel cellophane e ricoperta con del nastro adesivo colorato, che cambiava a seconda del quantitativo. Ad acquistarla, dalla Capitale, era il sodalizio di nigeriani, che da due basi logistiche al Casilino, precisamente in via Melicucco e via Villafranca Tirreno, la facevano arrivare in tutta Italia e in Europa attraverso i connazionali, dopo aver preso accordi con la rete di intermediari presenti nelle città della penisola. I corrieri, è emerso dalle indagini, venivano soprattutto reclutati nei centri di accoglienza.
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