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Patto di filiera contro il caporalato, Coldiretti: così si spezza la catena dello sfruttamento

L’intervento del delegato molisano Spinelli in merito all’intesa per la prevenzione e il contrasto del lavoro nero in agricoltura


CAMPOBASSO. “Il patto di filiera contro il caporalato rappresenta un’importante azione di responsabilizzazione delle istituzioni nazionali e locali per combattere inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e il loro lavoro e gettano un’ombra su un settore che ha scelto con decisione la strada dell’attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale”.

È quanto afferma il delegato confederale di Coldiretti Molise, Giuseppe Spinelli nel commentare la firma del protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, sottoscritto dal presidente della Confederazione Nazionale Coldiretti Ettore Prandini, assieme al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, al ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Stefano Patuanelli, e il presidente del Consiglio Nazionale di Anci, Enzo Bianco. Occorre spezzare la catena dello sfruttamento che – sottolinea Coldiretti – si alimenta pure dalle pratiche sleali commerciali e dalle distorsioni lungo la filiera, dalla distribuzione all’industria fino alle campagne dove i prodotti agricoli pagati sottocosto pochi centesimi spingono le imprese oneste a chiudere e a lasciare spazio all’illegalità.

Il risultato, denuncia Coldiretti, è che, ad esempio, quando si acquista una passata al supermercato si paga più per la confezione che per il pomodoro contenuto. In una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml in vendita mediamente a 1,3 euro oltre la metà del valore (53%), secondo la Coldiretti, è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18% sono i costi di produzione industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l’8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all’etichetta e il 2% per la pubblicità. Un paradosso che è favorito dalla concorrenza sleale delle importazioni low cost dall’estero con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia, dal pomodoro cinese al riso asiatico, dall’ortofrutta sudamericana fino alle nocciole turche, che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso anche grazie ad agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea.  “Un cambiamento importante è stato ottenuto nell’ambito della riforma della Politica Agricola Europea – ha concluso – con l’avvio del dibattito sulle restrizioni alle importazioni extracomunitarie di prodotti che non garantiscono gli standard europei”.

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Deborah

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