Dopo un caso di positività in casa, padre e figlia, non essendo automuniti, sono stati ‘costretti’ a raggiungere l’ospedale con un mezzo pubblico. E dopo il tampone hanno scoperto di avere il coronavirus. La denuncia di una donna: “Negato un servizio sanitario”. Un plauso, invece, ai medici venezuelani in forza al Cardarelli
ISERNIA. Un servizio sanitario negato, proprio mentre la pandemia torna a far paura. A denunciarlo una donna della provincia di Isernia, la cui famiglia è stata colpita dal Covid.
L’odissea inizia mercoledì 17 novembre, quando la madre della ragazza, dopo una settimana di malessere, viene soccorsa dal 118. Accertata la positività al coronavirus, viene ricoverata nel reparto di Malattie infettive del Cardarelli di Campobasso, dove riceve la terapia con l’ossigeno, versando in condizioni non gravi.
Ma il disservizio nasce quando il marito e la figlia più piccola, suoi conviventi, vengono esortati ad effettuare il tampone molecolare. L’Asrem – racconta la donna – li convoca per il 19 novembre, ma non presentando chiari sintomi della malattia, agli stessi viene negato il diritto al tampone domiciliare e viene comunicato loro di dover raggiungere autonomamente l’ospedale. La figlia maggiore, non convivente e negativa al Covid, non può avere contatti con i familiari e – stando al racconto fornito a isNews – chiama azienda sanitaria, carabinieri, Comune e Croce rossa per rappresentare l’impossibilità dei suoi cari a recarsi da soli presso il nosocomio, non essendo automuniti. Ma le richieste di aiuto sarebbero rimaste inevase.
I protocolli, a quanto pare, non prevedono intervento domiciliare per chi non presenta evidenti sintomi. E un trasporto ‘eccezionale’ con la Croce rossa avrebbe presentato un costo eccessivo per la famiglia.
La strada infine percorsa, con tutti i rischi connessi, è stata quella del trasporto pubblico. Padre e figlioletta si sono recati a effettuare il tampone molecolare a bordo di un pullman di linea, osservando le necessarie misure di sicurezza. Ed ecco accadere quanto temuto: anche i loro tamponi sono risultati positivi. “Perché negare un servizio sanitario, mettendo in pericolo anche la salute di altre persone?”: questo l’interrogativo/denuncia della donna, che ha deciso di affidare il proprio sfogo alla stampa. Una domanda che effettivamente esige una risposta e lascia riflettere.
Unica nota positiva nella vicenda – racconta ancora la giovane – sarebbe invece l’assistenza prestata alla madre presso il nosocomio campobassano da parte dei medici venezuelani. “Si prendono cura di mia madre con attenzione e costanza – riferisce – E tutte le mattine mi chiamano per aggiornarmi sulle sue condizioni. A loro voglio rivolgere un ringraziamento e un plauso pubblico”.
Insomma, nella sofferenza una carezza per il cuore.
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