Domani l’anniversario dell’omicidio del cronista molisano. La Federazione nazionale stampa italiana parte offesa nel processo dopo la riapertura delle indagini della procura di Roma


SESSANO DEL MOLISE. Quarantatré anni trascorsi nel tentativo, da parte di qualcuno, di screditare il lavoro di un giornalista vero che ha inventato, almeno in Italia, il giornalismo d’inchiesta. Quarantatré anni trascorsi, da parte della famiglia, a cercare una verità che non è ancora arrivata.

Le indagini sulla morte del giornalista sessanese sono state riaperte dalla Procura di Roma e, questa volta, la Federazione nazionale della stampa italiana si è costituita parte offesa, affidandosi all’avvocato Giulio Vasaturo, ed è in attesa dell’inizio dell’eventuale processo per costituirsi parte civile.

Per l’avvocato Valter Biscotti, legale del figlio del giornalista ucciso, la verità è nelle carte del processo di Perugia e prima o poi verrà fuori. «Sarà una verità che esclude la pista politica e quella mafiosa – spiega l’avvocato Biscotti – per andare nella direzione, invece, degli ambienti di destra, della criminalità romana e dei servizi deviati».

“Intanto – dice l’avvocato Claudio Ferrazza, legale di Rosita Pecorelli, sorella di Mino – al di là del risultato delle indagini in corso, c’è da essere soddisfatti del fatto che ormai, dal processo di Perugia in poi, è stato accertato – è negli atti e nessuno può dire il contrario – che Mino Pecorelli non era un ricattatore come si è cercato di farlo passare per anni, non vendeva notizie per denaro, ma era un giornalista di qualità”.