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Un 15enne su due non capisce quello che legge: l’allarme di Save the Children

Il presidente Tesauro: “Un dramma per la tenuta democratica del Paese”. Ma l’Italia continua a tagliare sull’istruzione preferendo investire in armi


ROMA. Il 51 percento delle persone di 15 anni in Italia sa leggere ma non capisce quello che legge. Un dato preoccupante riportato da Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children Italia, aprendo i lavori di ‘Impossibile’, la quattro giorni di riflessioni e proposte sull’ Infanzia e l’Adolescenza. “La dispersione scolastica implicita, cioè l’incapacità di un ragazzo/a di 15 anni di comprendere il significato di un testo scritto, è al 51% – ha detto Tesauro – Un dramma non solo per il sistema di istruzione e per lo sviluppo economico, ma per la tenuta democratica di un paese. I più colpiti sono gli studenti delle famiglie più povere, quelle che vivono al sud e quelle con background migratorio”.

I dati sono registrati tramite le prove Invalsi – pur con tutte le loro criticità e limiti – e continuano a ricevere conferme a ogni tornata di test. Numeri che dovrebbero far seriamente interrogare sui concetti di educazione, formazione e crescita come vengono impostati nella scuola e nella società italiana. Ogni volta i cori d’indignazione si alzano da più parti: dalle istituzioni, dalla politica, dalle associazioni. Poco cambia, anzi: nel 2020 l’Italia era ultima in Europa per fondi all’istruzione. Nel 2022 con la ‘scusa’ della guerra in Ucraina – anche se il Governo parla di “razionamento” dovuto al calo demografico – l’Italia destinerà all’istruzione sempre meno fondi, per arrivare nel 2025 dal 4% al 3,5% del Pil. Basti pensare che la spesa per la difesa verrà aumentata del 2% (13 miliardi l’anno) e che la media che i Paesi europei destinano per i fondi all’istruzione si attesta attorno al 4,7% del Pil.

Restano i fatti, desolanti: nel 2021 i risultati di luglio delle Invalsi indicavano che due quattordicenni su cinque, con punte tra il 50 e il 60 per cento al Sud, escono dalle medie con competenze da quinta elementare sia in italiano che in matematica, dove anzi i dati sono anche peggiori. Quest’anno ci si aspetta risultati anche più gravi. E sono metri di distacco che non verranno mai più recuperati. Soprattutto quando è il contesto socio-economico a ‘tirare indietro’, con i più deboli che, bocciatura dopo bocciatura, alla fine lasciano la scuola. Prova ne sia il fatto che in Italia la dispersione scolastica si aggira attorno al 13%, quando l’obiettivo europeo per il 2020 era stato fissato a 10 punti. I più in difficoltà sono i maschi (15,6 per cento) mentre le femmine sono più o meno in linea con la media europea (10,4 per cento). Non sono solo i ragazzi vittima di dispersione scolastica il punto, ma anche quelli che invece la scuola manda avanti senza le necessarie competenze. Anche qui i risultati dell’Invalsi lasciano poco spazio all’interpretazione: il 44 per cento dei maturandi non raggiunge la sufficienza in italiano, con punte del 50-60 per cento al Sud. Il dato dell’anno scorso ha sicuramente ha risentito della Dad, ma anche gli anni precedenti non brillavano di certo per eccellenza.

Nel corso della sua presentazione Tesauro ha affermato che in Italia esiste “una crudele ingiustizia generazionale perché la crisi ha colpito proprio i bambini. Non solo 1,384mila bambini in povertà assoluta (il dato più alto degli ultimi 15 anni) ma un bambino in Italia oggi ha il doppio delle probabilità di vivere in povertà assoluta rispetto ad un adulto, il triplo delle probabilità rispetto a chi ha più di 65 anni”. ll presidente di Save The Children ha ricordato inoltre, che “più di due milioni di giovani, ovvero 1 giovane su cinque fra i 15 e i 29 anni, è fuori da ogni percorso di scuola, formazione e lavoro. In sei regioni, il numero dei ragazzi e delle ragazze Neet (acronimo che sta per ‘not in employment, education or training’, NdR) ha già superato il numero dei ragazzi, della stessa fascia di età, inseriti nel mondo del lavoro. In Sicilia, Campania, Calabria per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 che sono fuori dal lavoro, dalla formazione e dallo studio. Dati che – ha sottolineato – fanno a pugni con la richiesta del mondo produttivo”.

Pierre

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