Evento dedicato organizzato dal sindacato di polizia Sap nella Giornata in memoria delle vittime di mafia. Ascoltate le testimonianze di due agenti in servizio all’epoca dei fatti, tra cui un membro della scorta di Borsellino, unico sopravvissuto in via D’Amelio


ISERNIA. Giornata all’insegna della legalità, stamani all’auditorium ‘Unità d’Italia’ d’Isernia, dove è andato in scena il convegno-dibattito ‘Tutti insieme siamo capaci’, in occasione della Giornata in ricordo delle vittime del dovere e della mafia.

Il 2022 fa segnare il trentennale dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio: un appuntamento che la città ha voluto onorare ricordando i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e tutte le vittime di mafia e in servizio con un evento dedicato voluto dal sindacato di polizia Sap.

All’auditorium  sono stati ricostruiti i fatti del 1992 da chi li ha vissuti direttamente: in particolare da Antonio Vullo, poliziotto della scorta del giudice Borsellino e unico superstite della strage, in collegamento video da via d’Amelio. Vullo ha raccontato ai rappresentanti delle istituzioni dello Stato, presenti in platea, e soprattutto alle delegazioni di studenti di tutte le scuole della città cosa accadde il 19 luglio del 1992. Tra gli ospiti, al tavolo dei relatori, anche Giovanni La Perna, dirigente sindacale della polizia intervenuto in via d’Amelio subito dopo la terribile esplosione che uccise Borsellino e la sua scorta.

Il procuratore capo di Isernia, Carlo Fucci, come riferisce l’Ansa, ha condiviso il suo ricordo del 23 maggio 1992, giorno della morte di Falcone e della sua scorta: “Ero a lavoro, nella Procura di Santa Maria Capua Vetere, dove sono stato per 30 anni. Fu qualcosa di tremendo che, purtroppo, sotto certi aspetti temevamo, ma non in quel modo così eclatante. L’impegno di Falcone al ministero della Giustizia lo aveva reso ancora più pericoloso per la criminalità organizzata, per le iniziative legislative che stava sostenendo, per il supporto che dava a noi magistrati sul territorio. Dopo quei sacrifici umani è iniziato un percorso di cambiamento con le modifiche legislative che hanno contribuito, in maniera determinante, a raggiungere tanti risultati sul versante della lotta alla criminalità organizzata, la criminalità economica e, per certi riflessi, anche per la criminalità comune. Purtroppo, non si può dire che tutto è risolto. E’ una lotta continua nella quale vive il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e non solo, e vive il loro impegno che spinge le nuove generazioni a credere nello Stato e nella possibilità che lo Stato vinca”.

Parola poi a La Perna. “Quel 23 maggio del 1992 ero a riposo – si legge ancora sull’Ansa – lavoravo alla Volante e spesso facevo la staffetta al giudice Giovanni Falcone. Lui era abitudinario, portava sempre l’auto. Quel giorno a Capaci ho visto quell’auto: era spaventosa”.

Da Falcone a Borsellino, con la tremenda consapevolezza di chi ha vsito l’orrore.    “Sapevano tutti che dopo Falcone c’era Borsellino – ha continuato La Perna – Sia nel mese di maggio che nel mese di luglio del ’92, a Palermo non accadeva nulla: né rapine, né furti, nulla. Noi della Volante non facevamo interventi e quando c’era silenzio a Palermo significava che stava per succedere qualcosa. Di Capaci ho saputo dalla tivù, mentre il 19 luglio ero in servizio. Quel pomeriggio vidi l’agente Emanuela Loi, ci salutammo e fu l’ultima volta. Alle 16,58 sentimmo uno scoppio e vedemmo del fuoco sotto al Monte Pellegrino. Poi arriva la nota: via d’Amelio, strage, tutti morti. Arrivo e vedo Beirut. Vedo una donna, era Emanuela, mi inginocchio e piango. L’avevo vista due ore prima. Non ho dormito per 3 giorni, la mia divisa aveva un odore che non sopportavo. Per 20 anni non ho mai raccontato quello che ho visto – ha concluso – ma ho rotto il silenzio perché i giovani devono sapere la verità”.