Una virtù da riscoprire in un periodo in cui l’individualismo, la prevaricazione, la prepotenza e l’egoismo vengono proposti come atteggiamenti vincenti


di R. Francesca Capozza*

Mai come in questo momento storico e sociale abbiamo bisogno di recuperare il valore e l’importanza di questa disposizione d’animo e di intenti. Sorridere, salutare, predisporsi al dialogo, porsi in modo educato rappresentano ciò che comunemente indichiamo come “gentilezza”. In un periodo in cui l’individualismo, nonché la prevaricazione, la prepotenza e l’egoismo vengono proposti come atteggiamenti vincenti, riscopriamo invece il valore della gentilezza per la sua funzione di benessere personale e relazionale in quanto elemento essenziale nel suo valore adattivo e nella facoltà di far nascere relazioni sane e virtuose. La gentilezza include emozioni e comportamenti correlati a cura, generosità, altruismo, empatia, gratitudine, compassione.

La capacità di trattare gli altri in modo delicato fa bene a se stesso e all’altro e risulta essere quella competenza appresa che permette di vivere meglio, come hanno dimostrato i nostri antenati: la specie umana discende da una lunga stirpe di primati sociali che hanno tratto vantaggio per sopravvivere proprio dalle interazioni cooperative, scoprendo che il disporsi in maniera solidale con gli altri permetteva di affrontare meglio le sfide, spesso severe, della vita quotidiana. La gentilezza crea connessione, empatia, rasserena, accoglie e fa sentire capiti.

Quando ci comportiamo con gentilezza, aumentano i livelli di ossitocina e serotonina nel nostro cervello e viviamo una sensazione di appagamento e benessere generale. La competenza prosociale della gentilezza permette di costruire buone relazioni sociali che rappresentano un fattore protettivo rispetto allo stress. Il supporto sociale, infatti, diminuisce l’impatto negativo che lo stress ha sulla salute fisica e mentale grazie all’ apporto che fornisce in termini di vicinanza fisica ed emotiva, sostegno e ipotesi risolutive.

Un aspetto fondamentale è che “la gentilezza chiama altra gentilezza”, ovvero è contagiosa in quanto da una parte ben dispone l’altro a contraccambiare la gentilezza, dall’altra le sensazioni positive che produce nell’autore del gesto gentile lo inducono a perseverare in gentilezza, alimentando in tal modo un circolo virtuoso.

E allora non c’è che da essere gentili!

*Psicologa, psicoterapeuta specialista in psicologia della salute