La secolare festa si è celebrata, come ogni anno, alla vigilia del 17 gennaio con le Confraternite in cammino lungo le vie del paese: tra musica, canti e grande devozione si invoca la benedizione dell’eremita protettore degli animali


di Pietro Ranieri

COLLI A VOLTURNO. In Molise le feste realmente identitarie si contano in ogni paese. Colli a Volturno non fa eccezione, con una delle tradizioni forse più pittoresche ma anche più sacre della regione: la festa di Sant’Antonio Abate, che ogni anno si celebra non già il 17 gennaio ma la vigilia, il 16. Anche quest’anno la tradizione è stata rispettata, con il caratteristico rito delle Confraternite. Si tratta di gruppi spontanei di giovani collesi che si organizzano per percorrere le vie del paese in una questua, abbigliandosi come una compagnia di fraticelli ed eseguendo al contempo un antichissimo canto tradizionale che ripercorre la vita del santo eremita, protettore degli animali, veneratissimo a Colli. Proprio nel canto si recita: “Siamo venuti con canti e suoni, ché domani è Sant’Antonio”. Uno dei figuranti ricopre proprio il ruolo dell’eremita protettore degli animali, ed è colui che guida il canto casa per casa, spesso anche inventando strofe in base a chi abita quella zona del paese.

Per chi non è originario di Colli, questo basterebbe a raccontare la festa. Ma per chi è ‘d gl Cuogl’, come si dice in vernacolo, Sant’Antonio è molto più che un semplice rito carnevalesco. È cultura popolare, contadina, profondamente radicata nel Dna del territorio. C’è un’aura devozionale nel far parte delle Confraternite – non già quella ‘ufficiale’, costituitasi in associazione culturale anni orsono, ma anche quelle spontanee come si diceva all’inizio – che viene sia dal considerare la cosa come un omaggio al Santo, sia dal vero e proprio ‘rito di passaggio’ che ogni giovane collese compie partecipando. Quasi non ci si può definire collesi se non si è mai andati, almeno una volta nella vita, a “fare Sant’Antonio”.

Questa caratteristica identitaria è un unicum, che raramente si ritrova altrove, dove spesso festività simili hanno gruppi più o meno fissi di celebranti o figuranti che portano avanti la tradizione. Sant’Antonio invece si rinnova sempre, perché ogni anno c’è una nuova Confraternita che nasce spontaneamente e si unisce al ‘giro’ con le altre, facendosi ospitare a ogni desco, condividendo per buon augurio cibarie e bevande con i padroni di casa, per ritrovarsi poi la sera attorno al calore ristoratore del fuoco (altra simbologia molto comune nelle nostre zone, ma ugualmente carica di significati culturali e sociali).

Concedetemi questo sentimento sincero, da collese doc: l’orgoglio che si prova nel vedere i giovani, a volte giovanissimi, imbracciare un tamburello, la fisarmonica, a volte un paio di coperchiacci di pentole, e intonare il nostro canto più identitario, più sacro, più vero, più antico, è indescrivibile; e forse risulta banalmente folkloristico ai visitatori. Ma è anche – direi soprattutto – così che si preservano le nostre radici culturali, la nostra storia, la linfa vitale che è propria dei paesi, specie nelle aree interne, dove questi restano baluardo di comunità, civiltà, cultura, vita.

E allora evviva Colli, evviva l’associazione culturale Forza Giovane che per il 12esimo anno ha organizzato la festa in piazza, evviva Sant’Antonio Abate, evviva i bambini e i ragazzi – ma pure i più ‘maturi’: c’è anche il gruppo storico, che compie la questua da oltre quarant’anni! – delle Confraternite. È soprattutto grazie alla loro passione se la tradizione continua e viene tramandata. E di riflesso, se la comunità stessa sopravvive.