Tra agricoltori, trasformatori e rivenditori si parla di 15mila posti di lavoro che potrebbero saltare nel giro di pochi giorni dopo l’approvazione del dl Sicurezza


ROMA. Con l’entrata in vigore del decreto-legge sulla sicurezza approvato dal governo Meloni, il settore della cannabis light in Italia è ufficialmente diventato fuorilegge. Da sabato 12 aprile sono vietate la coltivazione, lavorazione, commercio e trasporto delle infiorescenze della canapa sativa, anche in forma semilavorata o essiccata, così come degli estratti, resine e oli da esse derivati.

Una svolta radicale che mette a rischio immediato migliaia di imprese agricole e commerciali nate negli ultimi anni grazie a una zona grigia normativa aperta dalla legge 242 del 2016, che regolamentava la coltivazione della canapa per usi industriali e consentiva la vendita di prodotti a base di CBD, il principio attivo non psicoattivo della pianta.

“Il decreto equipara la cannabis light a una sostanza stupefacente”, ha spiegato a Il Post l’avvocato Giacomo Bulleri, esperto in diritto commerciale. “Ma lo fa senza prevedere neppure un termine per lo smaltimento delle scorte: da sabato, chiunque ne sia in possesso rischia una denuncia”.

Stando a una prima stima, il comparto conta oltre 3mila aziende e garantisce circa 15mila posti di lavoro, tra agricoltori, trasformatori e rivenditori. Il divieto è arrivato senza alcun preavviso, con effetti immediati. Numerosi imprenditori hanno deciso di chiudere i negozi o interrompere la produzione per evitare conseguenze penali. Il testo vieta anche il semplice trasporto delle infiorescenze, con ulteriori incertezza su come comportarsi con i prodotti già confezionati o in giacenza nei magazzini.

“È una norma gravissima e senza precedenti – denuncia Beppe Croce, presidente di Federcanapa – che rischia di distruggere un intero settore produttivo, mentre lascia spazio solo alle grandi multinazionali del tabacco o del farmaceutico. Il mercato non sparirà, ma sarà dominato da soggetti stranieri”.

La cosiddetta cannabis light, come noto, è una varietà di infiorescenza con un contenuto di THC inferiore allo 0,6%, livello considerato non stupefacente da numerose sentenze della Corte di Cassazione, a partire da quella del 2019 che legittimava la vendita dei prodotti derivati dalla coltivazione legale prevista dalla legge del 2016. Il governo ha scelto in questo caso di aggirare il dibattito parlamentare, inserendo la norma in un decreto-legge, approvato con procedura d’urgenza. Il parlamento ora ha 60 giorni di tempo per convertirlo in legge, ma con questo iter sarà impossibile modificarlo in modo sostanziale.

Le associazioni di categoria stanno già predisponendo azioni di accertamento per contestare il decreto davanti ai tribunali civili, mentre nei singoli casi di sequestro si potrà fare ricorso ai Tar o al tribunale del Riesame, in caso di misure cautelari. “Le norme europee permettono l’acquisto di CBD dall’estero”, ricorda Croce: “Con questo decreto l’Italia non fa che tagliare fuori i propri imprenditori, lasciando il mercato in mano ad altri”.

Pierre